Purgatorio : Canto 1
1.1
Per correr miglior acque alza le vele
1.2
omai la navicella del mio ingegno,
la navicella: il paragone tra l'ingegno e la nave è frequente nella letteratura.
1.3
che lascia dietro a sé mar sì crudele;
1.4
e canterò di quel secondo regno
1.5
dove l'umano spirito si purga
1.6
e di salire al ciel diventa degno.
1.7
Ma qui la morta poesì resurga,
la morta poesì: la poesia, che ha cantato il regno dei morti, l'Inferno, elevi il suo tono (" resurga ").
1.8
o sante Muse, poi che vostro sono;
vostro: l'assolta dedizione di Dante alla poesia è altrove da lui stesso affermata, con commossi accenti (cfr. c. XXIX, 37 e Par. c. XXV, 3).
1.9
e qui Caliopè alquanto surga,
Caliopè: è la musa della poesia epica, ovvero quella dalla bella noce. L'accento sull'ultima è dovuto, come già visto nell'Inferno, all'uso medioevale di rendere tronche tutte le parole straniere od estranee alla declinazione latina (cfr. Inf. c. IV; 58 e n.).
1.10
seguitando il mio canto con quel suono
seguitando: accompagnando.
1.11
di cui le Piche misere sentiro
le Piche: le nove figlie di Pierio, re della Tessaglia, sfidarono al canto le Muse, ma furono vinte e punite con la trasformazione in piche o gazze, uccelli dalla voce stridula.
1.12
lo colpo tal, che disperar perdono.
1.13
Dolce color d'oriental zaffiro,
1.14
che s'accoglieva nel sereno aspetto
1.15
del mezzo, puro infino al primo giro,
del mezzo: dell'aria (" mezzo " equivale a fluido) pura fino all'orizzonte (" primo giro ").
1.16
a li occhi miei ricominciò diletto,
1.17
tosto ch'io usci' fuor de l'aura morta
1.18
che m'avea contristati li occhi e 'l petto.
1.19
Lo bel pianeto che d'amar conforta
Lo bel pianeto: la stella Venere brillava ad oriente, velando la costellazione dei Pesci, che si trovava in congiunzione (" in sua scorta ").
1.20
faceva tutto rider l'oriente,
1.21
velando i Pesci ch'erano in sua scorta.
1.22
I' mi volsi a man destra, e puosi mente
1.23
a l'altro polo, e vidi quattro stelle
a l'altro polo: a quello antartico, o australe.
1.24
non viste mai fuor ch'a la prima gente.
fuor ch'a la prima gente: tranne che da Adamo e da Eva, che abitarono il Paradiso Terrestre, situato in cima alla montagna del Purgatorio. Nelle quattro stelle i commentatori hanno ravvisato le virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza.
1.25
Goder pareva 'l ciel di lor fiammelle:
1.26
oh settentrional vedovo sito,
settentrional vedovo sito: l'emisfero settentrionale è privo ( " vedovo " ) della vista di quelle stelle.
1.27
poi che privato se' di mirar quelle!
1.28
Com'io da loro sguardo fui partito,
Com'io: come allontanai lo sguardo da quelle, volgendomi un poco verso settentrione (" l'altro polo ") là donde la costellazione dell'Orsa Maggiore (" il Carro ") era già tramontata, ecc.
1.29
un poco me volgendo a l'altro polo,
1.30
là onde il Carro già era sparito,
1.31
vidi presso di me un veglio solo,
1.32
degno di tanta reverenza in vista,
in vista: all'aspetto.
1.33
che più non dee a padre alcun figliuolo.
1.34
Lunga la barba e di pel bianco mista
1.35
portava, a' suoi capelli simigliante,
1.36
de' quai cadeva al petto doppia lista.
1.37
Li raggi de le quattro luci sante
Li raggi: la luce delle quattro stelle, dette " sante " perché illuminano il cammino dell'anima purgante, così come " sante " sono le Muse, invocate al v. 8, perché assistano guidate da Calliope la rinascente poesia; quelle stesse Muse che saranno, poi, più compiutamente, " sacrosante Vergini " (cfr. c. XXIX, 37).
1.38
fregiavan sì la sua faccia di lume,
1.39
ch'i' 'l vedea come 'l sol fosse davante.
1.40
«Chi siete voi che contro al cieco fiume
cieco fiume: presumibilmente, il " ruscelletto " (cfr. Inf. c. XXXIV, 130) che scende al centro della Terra e le cui rive i poeti hanno percorso contro corrente ( " contro " ).
1.41
fuggita avete la pregione etterna?»,
1.42
diss'el, movendo quelle oneste piume.
oneste piume: la dignitosa e grande barba.
1.43
«Chi v'ha guidati, o che vi fu lucerna,
1.44
uscendo fuor de la profonda notte
1.45
che sempre nera fa la valle inferna?
1.46
Son le leggi d'abisso così rotte?
1.47
o è mutato in ciel novo consiglio,
o è mutato: o è stata sancita in cielo una nuova legge.
1.48
che, dannati, venite a le mie grotte?».
grotte: rocce (cfr. Inf. c. XXI, 110).
1.49
Lo duca mio allor mi diè di piglio,
1.50
e con parole e con mani e con cenni
1.51
reverenti mi fé le gambe e 'l ciglio.
reverenti mi fé: mi indusse a piegare, per reverenza, il ginocchio (" le gambe ") e il capo (" 'l ciglio ").
1.52
Poscia rispuose lui: «Da me non venni:
1.53
donna scese del ciel, per li cui prieghi
donna: Beatrice.
1.54
de la mia compagnia costui sovvenni.
1.55
Ma da ch'è tuo voler che più si spieghi
1.56
di nostra condizion com'ell'è vera,
com'ell'è vera : quale essa è in verità.
1.57
esser non puote il mio che a te si nieghi.
il mio: che il mio volere si opponga ( " si nieghi " ) a te.
1.58
Questi non vide mai l'ultima sera;
l'ultima sera: la morte dell'anima.
1.59
ma per la sua follia le fu sì presso,
1.60
che molto poco tempo a volger era.
a volger era: mancava, cioè sarebbe trascorso.
1.61
Sì com'io dissi, fui mandato ad esso
1.62
per lui campare; e non lì era altra via
campare: scampare, salvare.
1.63
che questa per la quale i' mi son messo.
1.64
Mostrata ho lui tutta la gente ria;
1.65
e ora intendo mostrar quelli spirti
1.66
che purgan sé sotto la tua balìa.
balìa : sorveglianza.
1.67
Com'io l'ho tratto, saria lungo a dirti;
1.68
de l'alto scende virtù che m'aiuta
1.69
conducerlo a vederti e a udirti.
1.70
Or ti piaccia gradir la sua venuta:
1.71
libertà va cercando, ch'è sì cara,
libertà: si tratta della libertà morale, di quell'assoluta libertà dello spirito, il cui conseguimento, pur se comporti la morte, è preferibile alla vita senza di essa (cfr. Mon. II, V, 15).
1.72
come sa chi per lei vita rifiuta.
1.73
Tu 'l sai, ché non ti fu per lei amara
Tu: Virgilio si rivolge a Catone, il " veglio " posto da Dante á guardia del Purgatorio. Marco Porcio Catone il giovane o l'Uticense (95-46 a.C.) è quel fiero repubblicano che, quando vide la libertà di Roma calpestata dalle legioni di Cesare trionfante, non esitò a togliersi la vita in Utica. Sebbene nemico di Cesare, che Dante considera il fondatore della Monarchia Universale e dell'Impero, sebbene pagano, sebbene suicida, Catone è assolto dal poeta, che gli assegna la " balìa " del Purgatorio, come al più intransigente custode dell'integrità morale.
1.74
in Utica la morte, ove lasciasti
1.75
la vesta ch'al gran dì sarà sì chiara.
la vesta: il corpo, che nel giorno del giudizio apparirà cosi luminoso, ricongiunto all'anima destinata al cielo.
1.76
Non son li editti etterni per noi guasti,
1.77
ché questi vive, e Minòs me non lega;
1.78
ma son del cerchio ove son li occhi casti
del cerchio: il Limbo, ove si trova anche Marzia (cfr. Inf. c. IV, 128), la casta moglie di Catone. E in nome di Marzia, Virgilio prega il custode del Purgatorio di concedergli il permesso di procedere.
1.79
di Marzia tua, che 'n vista ancor ti priega,
1.80
o santo petto, che per tua la tegni:
1.81
per lo suo amore adunque a noi ti piega.
1.82
Lasciane andar per li tuoi sette regni;
sette regni: i sette gironi del Purgatorio.
1.83
grazie riporterò di te a lei,
1.84
se d'esser mentovato là giù degni».
degni: se ti degni di esser ricordato laggiù.
1.85
«Marzia piacque tanto a li occhi miei
1.86
mentre ch'i' fu' di là», diss'elli allora,
di là: sulla terra, nel mondo.
1.87
«che quante grazie volse da me, fei.
volse: volle; fei : feci.
1.88
Or che di là dal mal fiume dimora,
mal fiume: l'Acheronte.
1.89
più muover non mi può, per quella legge
per quella legge: per la legge che fu fatta quando Cristo discese al Limbo ed io ne uscii e in base alla quale non è più possibile alcun rapporto tra gli spiriti dimoranti all'Inferno e gli altri. Prima della venuta di Cristo, le anime scendevano o tra i dannati o si fermavano nel Limbo, alcune per restarvi eternamente, altre in attesa che il Salvatore le rendesse beate (cfr. Inf. c. IV, n. 62).
1.90
che fatta fu quando me n'usci' fora.
1.91
Ma se donna del ciel ti muove e regge,
1.92
come tu di', non c'è mestier lusinghe:
non c'è mestier lusinghe: non c'è bisogno che tu cerchi di convincermi.
1.93
bastisi ben che per lei mi richegge.
bastisi: sia sufficiente.
1.94
Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
1.95
d'un giunco schietto e che li lavi 'l viso,
d'un giunco: il giunco liscio (" schietto ") rappresenta l'umiltà, virtù necessaria al purgante.
1.96
sì ch'ogne sucidume quindi stinghe;
1.97
ché non si converria, l'occhio sorpriso
l'occhio sorpriso: con l'occhio offuscato dal vapore infernale.
1.98
d'alcuna nebbia, andar dinanzi al primo
1.99
ministro, ch'è di quei di paradiso.
ch'è di quei: che appartiene alle schiere angeliche del Paradiso; si riferisce all'angelo che si trova alla porta del Purgatorio (cfr. c. IX, 78 e segg.).
1.100
Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
ad imo ad imo: nella parte più bassa.
1.101
là giù colà dove la batte l'onda,
1.102
porta di giunchi sovra 'l molle limo;
1.103
null'altra pianta che facesse fronda
1.104
o indurasse, vi puote aver vita,
o indurasse: sviluppasse un fusto rigido e non flessibile.
1.105
però ch'a le percosse non seconda.
non seconda: non si piega ai colpi dell'onda.
1.106
Poscia non sia di qua vostra reddita;
reddita: ritorno.
1.107
lo sol vi mosterrà, che surge omai,
mosterrà: arcaico toscano per " mostrerà ".
1.108
prendere il monte a più lieve salita».
a più lieve salita: dove l'ascesa è più agevole.
1.109
Così sparì; e io sù mi levai
1.110
sanza parlare, e tutto mi ritrassi
1.111
al duca mio, e li occhi a lui drizzai.
1.112
El cominciò: «Figliuol, segui i miei passi:
1.113
volgianci in dietro, ché di qua dichina
1.114
questa pianura a' suoi termini bassi».
a' suoi termini bassi: alla spiaggia, che è in basso.
1.115
L'alba vinceva l'ora mattutina
L'alba: il chiarore dell'alba scacciava le tenebre dell'ultima ora notturna, che si dileguava, per cui da lontano scorsi il tremolio del mare. E' l'ora del mattutino.
1.116
che fuggia innanzi, sì che di lontano
1.117
conobbi il tremolar de la marina.
1.118
Noi andavam per lo solingo piano
1.119
com'om che torna a la perduta strada,
1.120
che 'nfino ad essa li pare ire in vano.
1.121
Quando noi fummo là 've la rugiada
1.122
pugna col sole, per essere in parte
1.123
dove, ad orezza, poco si dirada,
dove, ad orezza: dove spira una fresca brezza; perciò la rugiada evapora lentamente (" poco si dirada ").
1.124
ambo le mani in su l'erbetta sparte
1.125
soavemente 'l mio maestro pose:
1.126
ond'io, che fui accorto di sua arte,
1.127
porsi ver' lui le guance lagrimose:
1.128
ivi mi fece tutto discoverto
1.129
quel color che l'inferno mi nascose.
quel color: il naturale incarnato, già coperto dal fumo.
1.130
Venimmo poi in sul lito diserto,
1.131
che mai non vide navicar sue acque
1.132
omo, che di tornar sia poscia esperto.
omo: fa pensare ad Ulisse (cfr. Inf. c. XXVI).
1.133
Quivi mi cinse sì com'altrui piacque:
1.134
oh maraviglia! ché qual elli scelse
1.135
l'umile pianta, cotal si rinacque
1.136
subitamente là onde l'avelse.
Purgatorio : Canto 2
2.1
Già era 'l sole a l'orizzonte giunto
Già era 'l sole: ormai il sole, nell'emisfero australe, dove si trova il Purgatorio, sta sorgendo; cioè ha raggiunto l'orizzonte astronomico il cui meridiano, collegando i poli attraverso l'Equatore, sovrasta (" coverchia ") Gerusalemme " col suo più alto punto ", cioè allo zenit. Dante, dunque, immagina che il Purgatorio si trovi esattamente agli antipodi di Gerusalemme, e, come già visto in Inf. c. XXXIV 112, segg., questa città si credeva fosse il punto medio dell'emisfero boreale; per conseguenza il Purgatorio occupa il punto centrale dell'emisfero australe, ed ha in comune con Gerusalemme l'orizzonte astronomico (cfr. c. IV, 68 e segg.).
2.2
lo cui meridian cerchio coverchia
2.3
Ierusalèm col suo più alto punto;
2.4
e la notte, che opposita a lui cerchia,
e la notte: e la notte, che gira (" cerchia ") diametralmente opposta al sole ("a lui"), usciva nell'emisfero boreale dalla foce del Gange, cioè ad oriente di Gerusalemme. E si era colà in primavera, uscendo la notte nel segno della Libra (" bilance "), e trovandosi il sole nell'opposto segno dell'Ariete (cfr. Inf. I, 38 segg.).
2.5
uscia di Gange fuor con le Bilance,
2.6
che le caggion di man quando soverchia;
quando soverchia: la notte permane nella costellazione della Libra finché queste bilance le cadono di mano (" le caggion di man ") quando, dopo l'equinozio d'autunno, diviene più lunga del giorno (" soverchia ").
2.7
sì che le bianche e le vermiglie guance,
2.8
là dov'i' era, de la bella Aurora
2.9
per troppa etate divenivan rance.
per troppa etate: per essere passato troppo tempo, divenivano color arancio dorate (" rance ", cfr. Inf. c. XXIII, 100 e nota).
2.10
Noi eravam lunghesso mare ancora,
lunghesso: lungo il.
2.11
come gente che pensa a suo cammino,
2.12
che va col cuore e col corpo dimora.
che va col cuore: che con l'animo ansioso anticipa l'arrivo del corpo nel luogo ove è diretta.
2.13
Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino,
Ed ecco, qual: come sul far del mattino Marte rosseggia ad occidente per gli spessi vapori che si levano dal mare, cosi….
2.14
per li grossi vapor Marte rosseggia
2.15
giù nel ponente sovra 'l suol marino,
2.16
cotal m'apparve, s'io ancor lo veggia,
s'io ancor lo veggia: possa io rivederlo ancora.
2.17
un lume per lo mar venir sì ratto,
2.18
che 'l muover suo nessun volar pareggia.
2.19
Dal qual com'io un poco ebbi ritratto
2.20
l'occhio per domandar lo duca mio,
2.21
rividil più lucente e maggior fatto.
2.22
Poi d'ogne lato ad esso m'appario
2.23
un non sapeva che bianco, e di sotto
un non sapeva che bianco: un candore indistinto.
2.24
a poco a poco un altro a lui uscio.
un altro: un altro candore.
2.25
Lo mio maestro ancor non facea motto,
2.26
mentre che i primi bianchi apparver ali;
mentre che: fino a che.
2.27
allor che ben conobbe il galeotto,
il galeotto: il nocchiero, il pilota.
2.28
gridò: «Fa, fa che le ginocchia cali.
2.29
Ecco l'angel di Dio: piega le mani;
2.30
omai vedrai di sì fatti officiali.
officiali: ministri.
2.31
Vedi che sdegna li argomenti umani,
argomenti: mezzi.
2.32
sì che remo non vuol, né altro velo
velo: vela (latinismo suggerito dalla rima); l'angelo fa vela delle sue ali.
2.33
che l'ali sue, tra liti sì lontani.
tra liti sì lontani: come sarà spiegato (cfr. v.100), l'angelo viaggia dalla foce del Tevere al Purgatorio.
2.34
Vedi come l'ha dritte verso 'l cielo,
2.35
trattando l'aere con l'etterne penne,
trattando: agitando l'aria (" l'aere ").
2.36
che non si mutan come mortal pelo».
2.37
Poi, come più e più verso noi venne
2.38
l'uccel divino, più chiaro appariva:
2.39
per che l'occhio da presso nol sostenne,
2.40
ma chinail giuso; e quei sen venne a riva
2.41
con un vasello snelletto e leggero,
2.42
tanto che l'acqua nulla ne 'nghiottiva.
l'acqua nulla ne 'nghiottiva: il vascello (" vasello ") era tanto leggero che lo scafo non pescava nell'acqua.
2.43
Da poppa stava il celestial nocchiero,
2.44
tal che faria beato pur descripto;
tal che faria: con aspetto tanto celestiale che, solamente descritto, renderebbbe felice ogni uomo.
2.45
e più di cento spirti entro sediero.
più di cento: per indicare un numero indeterminato.
2.46
"In exitu Israel de Aegypto"
In exitu: Nell'uscita del popolo di Israele dall'Egitto. E' il principio del salmo CXIII, che ricorda la liberazione del popolo ebreo dalla schiavitù d'Egitto.
2.47
cantavan tutti insieme ad una voce
2.48
con quanto di quel salmo è poscia scripto.
2.49
Poi fece il segno lor di santa croce;
2.50
ond'ei si gittar tutti in su la piaggia;
2.51
ed el sen gì, come venne, veloce.
2.52
La turba che rimase lì, selvaggia
selvaggia: inesperta e, nello stesso tempo, guardinga.
2.53
parea del loco, rimirando intorno
2.54
come colui che nove cose assaggia.
assaggia: prova.
2.55
Da tutte parti saettava il giorno
Da tutte parti: da ogni parte il sole dardeggiava la luce del giorno, esso che con le saette risplendenti (" conte " dal lat. comptus: adorno) aveva cacciato la costellazione del Capricorno dallo zenit (" di mezzo 'l ciel "). In sostanza, il sole è sorto da più di mezz'ora.
2.56
lo sol, ch'avea con le saette conte
2.57
di mezzo 'l ciel cacciato Capricorno,
2.58
quando la nova gente alzò la fronte
2.59
ver' noi, dicendo a noi: «Se voi sapete,
2.60
mostratene la via di gire al monte».
2.61
E Virgilio rispuose: «Voi credete
2.62
forse che siamo esperti d'esto loco;
2.63
ma noi siam peregrin come voi siete.
2.64
Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,
2.65
per altra via, che fu sì aspra e forte,
che fu sì aspra e forte: il viaggio attraverso l'Inferno richiama il concetto espresso in Inf. c. I, 5.
2.66
che lo salire omai ne parrà gioco».
2.67
L'anime, che si fuor di me accorte,
2.68
per lo spirare, ch'i' era ancor vivo,
per lo spirare: per il fatto che respiravo. Analogamente in Inf. XXIII, 88.
2.69
maravigliando diventaro smorte.
2.70
E come a messagger che porta ulivo
E come: e come la gente accorre (" tragge ") all'arrivo dl un messaggero di pace (" che porta ulivo "), per apprendere notizie ( " novelle " ) e nessuno si mostra insofferente di mescolarsi alla folla (" di calcar ").
2.71
tragge la gente per udir novelle,
2.72
e di calcar nessun si mostra schivo,
2.73
così al viso mio s'affisar quelle
2.74
anime fortunate tutte quante,
2.75
quasi obliando d'ire a farsi belle.
a farsi belle: a purificarsi.
2.76
Io vidi una di lor trarresi avante
2.77
per abbracciarmi con sì grande affetto,
2.78
che mosse me a far lo somigliante.
a far lo somigliante: a ricambiare l'abbraccio.
2.79
Ohi ombre vane, fuor che ne l'aspetto!
Ohi ombre vane: o anime immateriali e incorporee, fuor che nell'aspetto esteriore. Diversamente sono presentate le anime dell'Inferno: Dante afferra per la cuticagna Bocca degli Abati (cfr. Inf. c. XXXII, 97 e segg.); il conte Ugolino morde con piglio canino il cranio dell'arcivescovo Ruggieri (cfr. Inf. c. XXXII, 127 e segg.). La differenza poggia su un motivo essenzialmente poetico.
2.80
tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
2.81
e tante mi tornai con esse al petto.
2.82
Di maraviglia, credo, mi dipinsi;
2.83
per che l'ombra sorrise e si ritrasse,
2.84
e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.
2.85
Soavemente disse ch'io posasse;
ch'io posasse: che io avessi posa dall'affanno causatomi dalla meraviglia (v. 82).
2.86
allor conobbi chi era, e pregai
2.87
che, per parlarmi, un poco s'arrestasse.
2.88
Rispuosemi: «Così com'io t'amai
2.89
nel mortal corpo, così t'amo sciolta:
sciolta: liberata (cfr. lat. soluta) dal corpo mortale. Il femminile si spiega con il sottinteso riferimento ad anima; gli spiriti dell'Inferno parlano, invece, al maschile perché il peccato li tiene ancora legati a quel mondo terreno che la presenza di Dante rievoca.
2.90
però m'arresto; ma tu perché vai?».
2.91
«Casella mio, per tornar altra volta
Casella: musicista e cantore contemporaneo e probabile amico di Dante; di Dante e di altri poeti duecenteschi musicò varie pesie.
2.92
là dov'io son, fo io questo viaggio»,
la dov'ío son: in Purgatorio. Cioè il viaggio oltremondano servirà al poeta per purificarsi e per evitare l'Inferno.
2.93
diss'io; «ma a te com'è tanta ora tolta?».
ma a te… : ma perché ti è tolto tanto tempo? Cioè come mai solo ora giungi in Purgatorio? Casella, nel 1300, era già morto da qualche anno.
2.94
Ed elli a me: «Nessun m'è fatto oltraggio,
2.95
se quei che leva quando e cui li piace,
se quei: se l'angelo nocchiero, che prende a bordo ( " leva ") quando e chi vuole (" li piace ").
2.96
più volte m'ha negato esto passaggio;
2.97
ché di giusto voler lo suo si face:
ché di giusto voler: ché le sue azioni ( " lo suo " ) sono determinate dal volere di Dio.
2.98
veramente da tre mesi elli ha tolto
da tre mesi: dal Natale 1299, quando fu istituito da Bonifacio VIII il giubileo. Egli ha imbarcato senza opporsi (" con tutta pace ") chiunque ha voluto entrare nel " vasello ", in virtù delle indulgenze, proprie dell'anno giubilare, che possono esser lucrate anche dalle anime del Purgatorio.
2.99
chi ha voluto intrar, con tutta pace.
2.100
Ond'io, ch'era ora a la marina vòlto
2.101
dove l'acqua di Tevero s'insala,
dove…: dove l'acqua del Tevere.
2.102
benignamente fu' da lui ricolto.
2.103
A quella foce ha elli or dritta l'ala,
2.104
però che sempre quivi si ricoglie
quivi: cioè alla foce del Tevere.
2.105
qual verso Acheronte non si cala».
qual: chiunque non si cali in Inferno (" Acheronte ").
2.106
E io: «Se nuova legge non ti toglie
2.107
memoria o uso a l'amoroso canto
l'amoroso canto: la poesia serenatrice dello spirito.
2.108
che mi solea quetar tutte mie doglie,
2.109
di ciò ti piaccia consolare alquanto
2.110
l'anima mia, che, con la sua persona
2.111
venendo qui, è affannata tanto!».
2.112
"Amor che ne la mente mi ragiona"
Amor: è l'incipit della famosa canzone commentata nel terzo trattato del Convivio, che alcuni antichi commentatori affermano sia stata musicata da Casella.
2.113
cominciò elli allor sì dolcemente,
2.114
che la dolcezza ancor dentro mi suona.
2.115
Lo mio maestro e io e quella gente
2.116
ch'eran con lui parevan sì contenti,
parevan: apparivano.
2.117
come a nessun toccasse altro la mente.
2.118
Noi eravam tutti fissi e attenti
2.119
a le sue note; ed ecco il veglio onesto
il veglio onesto: il venerando vecchio è Catone.
2.120
gridando: «Che è ciò, spiriti lenti?
2.121
qual negligenza, quale stare è questo?
2.122
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio
lo scoglio: la scorza del peccato, che impedisce la visione di Dio.
2.123
ch'esser non lascia a voi Dio manifesto».
2.124
Come quando, cogliendo biado o loglio,
2.125
li colombi adunati a la pastura,
2.126
queti, sanza mostrar l'usato orgoglio,
l'usato orgoglio: l'abituale atteggiamento del colombo, quando procede ritto e impettito.
2.127
se cosa appare ond'elli abbian paura,
2.128
subitamente lasciano star l'esca,
l'esca: il pasto, il cibo.
2.129
perch'assaliti son da maggior cura;
cura: preoccupazione (cfr. lat. cura).
2.130
così vid'io quella masnada fresca
masnada: in origine era la famiglia che occupava un manso o podere (cfr. Inf. c. XV, 41). Ancora oggi nella zona di Laces, in Val Venosta, il podere è detto maso. Qui vale: compagnia, da poco giunta ( " fresca " ).
2.131
lasciar lo canto, e fuggir ver' la costa,
2.132
com'om che va, né sa dove riesca:
2.133
né la nostra partita fu men tosta.
men tosta: meno rapida.
Purgatorio : Canto 3
3.1
Avvegna che la subitana fuga
Avvegna che: sebbene l'improvvisa fuga disperdesse.
3.2
dispergesse color per la campagna,
3.3
rivolti al monte ove ragion ne fruga,
ove ragion: dove la giustizia di Dio ( " ragion " ) ci ( " ne " ) esamina fin nell'intúno (" fruga "). " Ragione si disse per giustizia, e anche per il luogo ove questa si amministra" (Del Lungo).
3.4
i' mi ristrinsi a la fida compagna:
compagna: compagnia, cioè Virgilio.
3.5
e come sare' io sanza lui corso?
3.6
chi m'avria tratto su per la montagna?
3.7
El mi parea da sé stesso rimorso:
da sé stesso rimorso: che provasse spontaneamente rimorso. Infatti il rimprovero di Catone non era rivolto né a Virgilio né a Dante.
3.8
o dignitosa coscienza e netta,
3.9
come t'è picciol fallo amaro morso!
come: come amaramente ti rimorde una minima colpa!.
3.10
Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
la fretta: la fretta che toglie (" dismaga ": indebolisce) il decoro (" l'onestade ") ad ogni atto.
3.11
che l'onestade ad ogn'atto dismaga,
3.12
la mente mia, che prima era ristretta,
ristretta: chiusa in un solo pensiero.
3.13
lo 'ntento rallargò, sì come vaga,
lo 'ntento: l'attenzione, così com'era desiderosa di apprendere.
3.14
e diedi 'l viso mio incontr'al poggio
3.15
che 'nverso 'l ciel più alto si dislaga.
si dislaga: si innalza, sorgendo sulle acque.
3.16
Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,
roggio: cfr. Inf. c. XI 73.
3.17
rotto m'era dinanzi a la figura,
rotto: interrotto dall'ombra della mia persona, poiché 1 suoi raggi si appoggiavano su di me.
3.18
ch'avea in me de' suoi raggi l'appoggio.
3.19
Io mi volsi dallato con paura
3.20
d'essere abbandonato, quand'io vidi
3.21
solo dinanzi a me la terra oscura;
3.22
e 'l mio conforto: «Perché pur diffidi?»,
3.23
a dir mi cominciò tutto rivolto;
3.24
«non credi tu me teco e ch'io ti guidi?
3.25
Vespero è già colà dov'è sepolto
Vespero: già è sera là dove è sepolto il mio corpo. Sappiamo che la notte è calata su Gerusalemme, (cfr. c. II, 4) perciò è sera a Napoli, sita ad occidente di Gerusalemme; e a Napoli riposano le spoglie di Virgilio.
3.26
lo corpo dentro al quale io facea ombra:
3.27
Napoli l'ha, e da Brandizio è tolto.
Brandizio: Brindisi, città in cui Virgilio morì nel 19 a.C.
3.28
Ora, se innanzi a me nulla s'aombra,
3.29
non ti maravigliar più che d'i cieli
più che d'i cieli: più di quanto ti meraviglieresti dei cieli che, essendo diafani, l'uno non toglie luce (" raggio non ingombra " ) all'altro.
3.30
che l'uno a l'altro raggio non ingombra.
3.31
A sofferir tormenti, caldi e geli
A sofferir: la Virtù divina piega (" dispone ") corpi simili a quello di Virgilio, che è ormai un'ombra, a soffrire torture e caldo e freddo e non vuole che a noi sia rivelato " come ".
3.32
simili corpi la Virtù dispone
3.33
che, come fa, non vuol ch'a noi si sveli.
3.34
Matto è chi spera che nostra ragione
3.35
possa trascorrer la infinita via
trascorrer: percorrere compiutamente la via che il Dio uno e trino (" una sustanza in tre persone ") percorre (" tiene") nel suo imperscrutabile modo di operare.
3.36
che tiene una sustanza in tre persone.
3.37
State contenti, umana gente, al quia;
State contenti: accontentatevi del che (" quia ") e non cercate di sapere il come (v. 33); ché se aveste potuto veder tutto, non era necessario ( " mestier " ) che Maria generasse il figlio di Dio. Cioè che Cristo venisse a lavare la macchia del peccato originale, conseguenza della colpa di Adamo, cui Dio aveva proibito di gustare il frutto dell'albero della scienza del bene e del male. Proibizione non necessaria, se l'uomo avesse potuto veder tutto.
3.38
ché se potuto aveste veder tutto,
3.39
mestier non era parturir Maria;
3.40
e disiar vedeste sanza frutto
e disiar: e vedeste inutilmente aspirare alla conoscenza della verità (" disiar… sanza frutto " ) tali uomini ( " tai " ) che (se potuto aveste veder tutto) sarebbe appagata quella loro aspirazione (" sarebbe lor disio quetato "), invece ad essi assegnata come eterna pena (" lutto ").
3.41
tai che sarebbe lor disio quetato,
3.42
ch'etternalmente è dato lor per lutto:
3.43
io dico d'Aristotile e di Plato
d'Aristotile e di Plato: Aristotele e Platone (cfr. Inf. c. IV, 131).
3.44
e di molt'altri»; e qui chinò la fronte,
di molt'altri : tra i quali è anche Virgilio, che perciò, rassegnatamente, china la fronte.
3.45
e più non disse, e rimase turbato.
3.46
Noi divenimmo intanto a piè del monte;
divenimmo: giungemmo.
3.47
quivi trovammo la roccia sì erta,
3.48
che 'ndarno vi sarien le gambe pronte.
3.49
Tra Lerice e Turbìa la più diserta,
Tra Lerice e Turbìa: tra Lerici, sul golfo della Spezia e La Turbie, in territorio nizzardo, presso Monaco, la più scoscesa e inaccessibile frana è, al paragone di quella (" verso di quella ") una scala agevole e comoda.
3.50
la più rotta ruina è una scala,
3.51
verso di quella, agevole e aperta.
3.52
«Or chi sa da qual man la costa cala»,
la costa: la parete diminuisce la pendenza (" cala ").
3.53
disse 'l maestro mio fermando 'l passo,
3.54
«sì che possa salir chi va sanz'ala?».
3.55
E mentre ch'e' tenendo 'l viso basso
3.56
essaminava del cammin la mente,
essaminava: interrogava i suoi pensieri (" la mente ") riguardo al cammino.
3.57
e io mirava suso intorno al sasso,
3.58
da man sinistra m'apparì una gente
3.59
d'anime, che movieno i piè ver' noi,
3.60
e non pareva, sì venian lente.
3.61
«Leva», diss'io, «maestro, li occhi tuoi:
3.62
ecco di qua chi ne darà consiglio,
3.63
se tu da te medesmo aver nol puoi¹.
3.64
Guardò allora, e con libero piglio
con libero piglio: come liberato dalla sua incertezza.
3.65
rispuose: «Andiamo in là, ch'ei vegnon piano;
3.66
e tu ferma la spene, dolce figlio».
ferma la spene: rafforza la speranza.
3.67
Ancora era quel popol di lontano,
3.68
i' dico dopo i nostri mille passi,
3.69
quanto un buon gittator trarria con mano,
un buon gittator: quanto un buon lanciatore di pietre scaglierebbe (" trarria ") il suo proiettile con la mano. Insomma le anime sono a un tiro di pietra.
3.70
quando si strinser tutti ai duri massi
3.71
de l'alta ripa, e stetter fermi e stretti
3.72
com'a guardar, chi va dubbiando, stassi.
com'a guardar: come si arresta a guardare chi avanza incerto.
3.73
«O ben finiti, o già spiriti eletti»,
ben finiti: morti nella grazia di Dio.
3.74
Virgilio incominciò, «per quella pace
3.75
ch'i' credo che per voi tutti s'aspetti,
3.76
ditene dove la montagna giace
giace: è meno scoscesa.
3.77
sì che possibil sia l'andare in suso;
3.78
ché perder tempo a chi più sa più spiace».
a chi più sa: a chi meglio conosce il valore del tempo.
3.79
Come le pecorelle escon del chiuso
3.80
a una, a due, a tre, e l'altre stanno
3.81
timidette atterrando l'occhio e 'l muso;
3.82
e ciò che fa la prima, e l'altre fanno,
e l'altre: anche le altre.
3.83
addossandosi a lei, s'ella s'arresta,
3.84
semplici e quete, e lo 'mperché non sanno;
3.85
sì vid'io muovere a venir la testa
3.86
di quella mandra fortunata allotta,
allotta: allora.
3.87
pudica in faccia e ne l'andare onesta.
3.88
Come color dinanzi vider rotta
3.89
la luce in terra dal mio destro canto,
3.90
sì che l'ombra era da me a la grotta,
a la grotta: fino alla roccia (cfr. I, 48).
3.91
restaro, e trasser sé in dietro alquanto,
restaro : si arrestarono.
3.92
e tutti li altri che venieno appresso,
3.93
non sappiendo 'l perché, fenno altrettanto.
fenno: fecero.
3.94
«Sanza vostra domanda io vi confesso
3.95
che questo è corpo uman che voi vedete;
3.96
per che 'l lume del sole in terra è fesso.
è fesso: è rotto, spezzato.
3.97
Non vi maravigliate, ma credete
3.98
che non sanza virtù che da ciel vegna
3.99
cerchi di soverchiar questa parete».
soverchiar: superare questa parete del monte.
3.100
Così 'l maestro; e quella gente degna
3.101
«Tornate», disse, «intrate innanzi dunque»,
intrate innanzi : procedete avanti a noi:.
3.102
coi dossi de le man faccendo insegna.
3.103
E un di loro incominciò: «Chiunque
3.104
tu se', così andando, volgi 'l viso:
3.105
pon mente se di là mi vedesti unque».
unque: mai (cfr. lat. unquam).
3.106
Io mi volsi ver lui e guardail fiso:
3.107
biondo era e bello e di gentile aspetto,
3.108
ma l'un de' cigli un colpo avea diviso.
ma l'un: ma un colpo d'arma da taglio aveva spaccato uno dei sopraccigli.
3.109
Quand'io mi fui umilmente disdetto
mi fui… disdetto: ebbi negato.
3.110
d'averlo visto mai, el disse: «Or vedi»;
3.111
e mostrommi una piaga a sommo 'l petto.
3.112
Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi,
Manfredi: è il figlio naturale legittimato di Federico II, incontrato tra gli eretici (cfr. Inf. c. X, 119); regnò sulla Puglia e la Sicilia dal 1250 al 1268,anno della battaglia di Benevento, vinta da Carlo d'Angiò, chiamato in Italia dal papa Clemente IV.
3.113
nepote di Costanza imperadrice;
Costanza: è la moglie di Arrigo VI e madre di Federico II (cfr. Par. c. III. 118). Perciò Manfredi è suo nipote.
3.114
ond'io ti priego che, quando tu riedi,
3.115
vadi a mia bella figlia, genitrice
bella figlia: è Costanza, figlia di Manfredi e moglie di Pietro III d'Aragona, il quale generò Federico, re di Sicilia (" l'onor di Cicilia… ") e Giacomo, re d'Aragona ("…e d'Aragona").
3.116
de l'onor di Cicilia e d'Aragona,
3.117
e dichi 'l vero a lei, s'altro si dice.
3.118
Poscia ch'io ebbi rotta la persona
3.119
di due punte mortali, io mi rendei,
punte: ferite. Mi rendei: mi abbandonai, pentito.
3.120
piangendo, a quei che volontier perdona.
3.121
Orribil furon li peccati miei;
3.122
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
3.123
che prende ciò che si rivolge a lei.
3.124
Se 'l pastor di Cosenza, che a la caccia
'l pastor di Cosenza: è Bartolomeo Pignatelli, vescovo di Cosenza; fu inviato dal papa (" per Clemente ") a ricercare le ossa di Manfredi, sepolte in capo al ponte (" in co ": lat. caput), sul Calore presso Benevento, in luogo sconsacrato, come si usava per gli scomunicati, e sotto un pesante mucchio di sassi (" grave mora ") raccolti dalla pietà degli stessi nemici.
3.125
di me fu messo per Clemente allora,
3.126
avesse in Dio ben letta questa faccia,
avesse in Dio…: avesse saputo comprendere che in Dio vi sono due aspetti, la giustizia e " la bontà infinita ".
3.127
l'ossa del corpo mio sarieno ancora
3.128
in co del ponte presso a Benevento,
3.129
sotto la guardia de la grave mora.
3.130
Or le bagna la pioggia e move il vento
3.131
di fuor dal regno, quasi lungo 'l Verde,
di fuor dal regno: il corpo di Manfredi, morto scomunicato, non poteva riposare nel regno di Napoli " ch'era terra di Chiesa " (G. Villani) perciò fu trasportato (" trasmutò ") vicino al Garigliano (" quasi lungo 'l Verde ").
3.132
dov'e' le trasmutò a lume spento.
3.133
Per lor maladizion sì non si perde,
Per lor maladizion: in seguito alla scomunica ecclesiastica, l'amore di Dio non si perde al punto, che non possa tornare a noi finché la speranza ha un po' ( " fior " ) di verde. Cioè finché l'uomo è in vita e può pentirsi.
3.134
che non possa tornar, l'etterno amore,
3.135
mentre che la speranza ha fior del verde.
3.136
Vero è che quale in contumacia more
Vero è che: tuttavia, chi muore scomunicato ma pentito, deve restare fuori del Purgatorio trenta volte il tempo che durò la scomunica, quel tempo cioè in cui, non sottomettendosi alla Chiesa, durò il suo orgoglio (" presunzion ").
3.137
di Santa Chiesa, ancor ch'al fin si penta,
3.138
star li convien da questa ripa in fore,
3.139
per ognun tempo ch'elli è stato, trenta,
3.140
in sua presunzion, se tal decreto
3.141
più corto per buon prieghi non diventa.
3.142
Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,
3.143
revelando a la mia buona Costanza
3.144
come m'hai visto, e anco esto divieto;
3.145
ché qui per quei di là molto s'avanza».
ché qui: perché nel Purgatorio molto si progredisce per le preghiere (" buon prieghi ", v. 141) dei vivi (" quei di là ").
Purgatorio : Canto 4
4.1
Quando per dilettanze o ver per doglie,
Quando: quando, per sensazione piacevole o dolorosa che una qualsiasi nostra facoltà riceva, l'anima si concentra tutta in essa, sembra che non rivolga più l'attenzione a nessun'altra facoltà; e questo fatto sconfessa l'erronea teoria che ritiene esserci più di un'anima (platonismo, manicheismo).
4.2
che alcuna virtù nostra comprenda
4.3
l'anima bene ad essa si raccoglie,
4.4
par ch'a nulla potenza più intenda;
4.5
e questo è contra quello error che crede
4.6
ch'un'anima sovr'altra in noi s'accenda.
4.7
E però, quando s'ode cosa o vede
4.8
che tegna forte a sé l'anima volta,
4.9
vassene 'l tempo e l'uom non se n'avvede;
4.10
ch'altra potenza è quella che l'ascolta,
ch'altra potenza: poiché altra facoltà è quella che avverte il trascorrere del tempo (" l'ascolta ") e altra è quella che occupa l'anima intera: questa facoltà è legata alle impressioni che riceve, l'altra, quella che " ascolta " è libera e non si accorge del tempo che passa.
4.11
e altra è quella c'ha l'anima intera:
4.12
questa è quasi legata, e quella è sciolta.
4.13
Di ciò ebb'io esperienza vera,
4.14
udendo quello spirto e ammirando;
4.15
ché ben cinquanta gradi salito era
cinquanta gradi: il sole sale di 15 gradi ogni ora; perciò sono passate più di tre ore dalla levata del sole.
4.16
lo sole, e io non m'era accorto, quando
4.17
venimmo ove quell'anime ad una
ad una: tutte insieme, gridarono: Qui è il punto che ci avete chiesto per salire (cfr. c. III, 76). 19: Maggiore: il villano, quando l'uva è quasi matura, molte volte riempie con una forcata di pruni (" impruna ") spinosi, una apertura più grande (" maggiore aperta ") di quanto fosse largo il sentiero (" calla ") lungo il quale salì Virgilio… 25 Sanleo: è San Leo, borgo impervio del ducato d'Urbino; Noli: è una cittadina della riviera ligure, cui si accedeva scendendo lungo scaglioni rocciosi e dirupati: Bismantova è un monte quasi inaccessibile presso Reggio Emilia, sulla cui vetta (" cacume ") si può tuttavia giungere camminando (" con esso i piè ").
4.18
gridaro a noi: «Qui è vostro dimando».
4.19
Maggiore aperta molte volte impruna
4.20
con una forcatella di sue spine
4.21
l'uom de la villa quando l'uva imbruna,
4.22
che non era la calla onde saline
4.23
lo duca mio, e io appresso, soli,
4.24
come da noi la schiera si partìne.
4.25
Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
4.26
montasi su in Bismantova 'n Cacume
4.27
con esso i piè; ma qui convien ch'om voli;
4.28
dico con l'ale snelle e con le piume
4.29
del gran disio, di retro a quel condotto
di retro: dietro a quella guida (" condotto "); ma può anche intendersi: condotto dietro colui che….
4.30
che speranza mi dava e facea lume.
4.31
Noi salavam per entro 'l sasso rotto,
4.32
e d'ogne lato ne stringea lo stremo,
lo stremo: le pareti della fessura, e per avanzare erano necessari mani e piedi.
4.33
e piedi e man volea il suol di sotto.
4.34
Poi che noi fummo in su l'orlo suppremo
4.35
de l'alta ripa, a la scoperta piaggia,
de l'alta ripa: " Sopra il ripiano superiore dell'alta ripa che costituisce la base del monte, ripiano che si stende all'aperto " (Casini-Barbi).
4.36
«Maestro mio», diss'io, «che via faremo?».
4.37
Ed elli a me: «Nessun tuo passo caggia;
caggia: cada, cioè vada indietro invece di avanzare.
4.38
pur su al monte dietro a me acquista,
4.39
fin che n'appaia alcuna scorta saggia».
4.40
Lo sommo er'alto che vincea la vista,
4.41
e la costa superba più assai
4.42
che da mezzo quadrante a centro lista.
che da mezzo quadrante: "Assai più ripida che una linea tirata dal mezzo d'un quadrante al centro del cerchio" (Momigliano). Cioè la parete aveva un'inclinazione superiore ai 45 gradi.
4.43
Io era lasso, quando cominciai:
4.44
«O dolce padre, volgiti, e rimira
4.45
com'io rimango sol, se non restai».
se non restai: se non ti arresti.
4.46
«Figliuol mio», disse, «infin quivi ti tira»,
4.47
additandomi un balzo poco in sùe
balzo: sporgenza rocciosa.
4.48
che da quel lato il poggio tutto gira.
4.49
Sì mi spronaron le parole sue,
4.50
ch'i' mi sforzai carpando appresso lui,
carpando: avanzando carponi.
4.51
tanto che 'l cinghio sotto i piè mi fue.
cinghio: il balzo (cfr. v. 47).
4.52
A seder ci ponemmo ivi ambedui
4.53
vòlti a levante ond'eravam saliti,
4.54
che suole a riguardar giovare altrui.
che suole: poiché è di conforto volgersi a guardare il cammino percorso; " altrui " è impersonale.
4.55
Li occhi prima drizzai ai bassi liti;
4.56
poscia li alzai al sole, e ammirava
4.57
che da sinistra n'eravam feriti.
che da sinistra: che eravamo illuminati (" feriti " cfr. Inf. c. X, 69) da sinistra; nel nostro emisfero, invece, il sole si alza dalla destra.
4.58
Ben s'avvide il poeta ch'io stava
4.59
stupido tutto al carro de la luce,
carro de la luce: il sole.
4.60
ove tra noi e Aquilone intrava.
tra noi e Aquilone: tra i poeti e il vento del nord (" Aquilone "); nel nostro emisfero, il sole si sarebbe avanzato tra i poeti volti a levante e Austro, vento me ridionale.
4.61
Ond'elli a me: «Se Castore e Poluce
Se Castore: se la costellazione dei Gemelli ( Castore e Polluce, figli di Giove e di Leda), fosse in congiunzione col sole (" quello specchio ") che illumina l'emisfero boreale e quello australe (" sù e giù "), cioè se fossimo più vicini al solstizio, tu vedresti lo Zodiaco rosseggiante (" rubecchio ") cioè la parte dov'è il sole, ruotare ancor più vicino alle Orse, cioè al polo artico, a meno che il sole non abbandonasse l'eclittica (" cammin vecchio ").
4.62
fossero in compagnia di quello specchio
4.63
che sù e giù del suo lume conduce,
4.64
tu vedresti il Zodiaco rubecchio
4.65
ancora a l'Orse più stretto rotare,
4.66
se non uscisse fuor del cammin vecchio.
4.67
Come ciò sia, se 'l vuoi poter pensare,
4.68
dentro raccolto, imagina Siòn
imagina Siòn: considera che il monte di Gerusalemme (" Siòn") e il purgatorio sono situati sul globo in modo da avere lo stesso orizzonte astronomico, pure essendo in opposti emisferi; sono cioè agli antipodi (cfr. c. II, 1 segg.). Per cui vedrai che l'eclittica (" la strada ") che Fetonte mal seppe percorrere col carro (cfr. Inf. c. XVII, 107) necessariamente (" convien ") va, rispetto al Purgatorio (" costui ") da un lato (" fianco ") mentre rispetto al monte Sion (" colui ") va dall'altro.
4.69
con questo monte in su la terra stare
4.70
sì, ch'amendue hanno un solo orizzòn
4.71
e diversi emisperi; onde la strada
4.72
che mal non seppe carreggiar Fetòn,
4.73
vedrai come a costui convien che vada
4.74
da l'un, quando a colui da l'altro fianco,
4.75
se lo 'ntelletto tuo ben chiaro bada».
4.76
«Certo, maestro mio,», diss'io, «unquanco
unquanco: mai prima d'ora.
4.77
non vid'io chiaro sì com'io discerno
4.78
là dove mio ingegno parea manco,
4.79
che 'l mezzo cerchio del moto superno,
che 'l mezzo cerchio: che il cerchio mediano dell'intero movimento celeste, in astronomia ( " in alcun'arte " ) chiamato Equatore, e situato sempre tra l'inverno e il sole (infatti quando in un emisfero è inverno il sole si trova ad di là dell'Equatore), per la ragione che tu affermi, di qua (" quinci ") si allontana verso settentrione tanto quanto gli Ebrei lo vedevano allontanarsi da Gerusalemme verso mezzogiorno (" la calda parte ").
4.80
che si chiama Equatore in alcun'arte,
4.81
e che sempre riman tra 'l sole e 'l verno,
4.82
per la ragion che di' , quinci si parte
4.83
verso settentrion, quanto li Ebrei
4.84
vedevan lui verso la calda parte.
4.85
Ma se a te piace, volontier saprei
4.86
quanto avemo ad andar; ché 'l poggio sale
4.87
più che salir non posson li occhi miei».
4.88
Ed elli a me: «Questa montagna è tale,
4.89
che sempre al cominciar di sotto è grave;
4.90
e quant'om più va sù, e men fa male.
e men fa male: meno tormentosa è l'ascesa.
4.91
Però, quand'ella ti parrà soave
4.92
tanto, che sù andar ti fia leggero
4.93
com'a seconda giù andar per nave,
com'a seconda: come seguendo la corrente.
4.94
allor sarai al fin d'esto sentiero;
4.95
quivi di riposar l'affanno aspetta.
4.96
Più non rispondo, e questo so per vero».
4.97
E com'elli ebbe sua parola detta,
4.98
una voce di presso sonò: «Forse
4.99
che di sedere in pria avrai distretta!».
avrai distretta: avrai necessità.
4.100
Al suon di lei ciascun di noi si torse,
4.101
e vedemmo a mancina un gran petrone,
4.102
del qual né io né ei prima s'accorse.
4.103
Là ci traemmo; e ivi eran persone
4.104
che si stavano a l'ombra dietro al sasso
4.105
come l'uom per negghienza a star si pone.
negghienza: pigrizia.
4.106
E un di lor, che mi sembiava lasso,
lasso: stanco.
4.107
sedeva e abbracciava le ginocchia,
4.108
tenendo 'l viso giù tra esse basso.
4.109
«O dolce segnor mio», diss'io, «adocchia
4.110
colui che mostra sé più negligente
4.111
che se pigrizia fosse sua serocchia».
serocchia: sorella (cfr. lat. sororcula).
4.112
Allor si volse a noi e puose mente,
4.113
movendo 'l viso pur su per la coscia,
4.114
e disse: «Or va tu sù, che se' valente!».
4.115
Conobbi allor chi era, e quella angoscia
4.116
che m'avacciava un poco ancor la lena,
m'avacciava: mi affrettava ancora un poco la respirazione (" lena ").
4.117
non m'impedì l'andare a lui; e poscia
4.118
ch'a lui fu' giunto, alzò la testa a pena,
4.119
dicendo: «Hai ben veduto come 'l sole
Hai ben veduto: l'interlocutore si fa gioco di Dante.
4.120
da l'omero sinistro il carro mena?».
4.121
Li atti suoi pigri e le corte parole
4.122
mosser le labbra mie un poco a riso;
4.123
poi cominciai: «Belacqua, a me non dole
Belacqua: è un contemporaneo di Dante, del quale si sa pochissimo: era liutaio e forse musico.
4.124
di te omai; ma dimmi: perché assiso
4.125
quiritto se'? attendi tu iscorta,
quiritto: appunto qui.
4.126
o pur lo modo usato t'ha' ripriso?».
lo modo usato: la consueta pigrizia.
4.127
Ed elli: «O frate, andar in sù che porta?
4.128
ché non mi lascerebbe ire a' martìri
a' martìri: all'espiazione.
4.129
l'angel di Dio che siede in su la porta.
4.130
Prima convien che tanto il ciel m'aggiri
4.131
di fuor da essa, quanto fece in vita,
4.132
perch'io 'ndugiai al fine i buon sospiri,
perch'io 'ndugiai : le anime dei negligenti sono costrette ad attendere nell'Antipurgatorio per tanto tempo quanto vissero in Terra.
4.133
se orazione in prima non m'aita
4.134
che surga sù di cuor che in grazia viva;
che in grazia viva: che viva nella grazia di Dio.
4.135
l'altra che val, che 'n ciel non è udita?».
l'altra: la preghiera di chi non sia in grazia di Dio.
4.136
E già il poeta innanzi mi saliva,
4.137
e dicea: «Vienne omai; vedi ch'è tocco
è tòcco: è ormai mezzogiorno e nel nostro emisfero la notte ha raggiunto il Marocco.
4.138
meridian dal sole e a la riva
4.139
cuopre la notte già col piè Morrocco».
Purgatorio : Canto 5
5.1
Io era già da quell'ombre partito,
5.2
e seguitava l'orme del mio duca,
5.3
quando di retro a me, drizzando 'l dito,
5.4
una gridò: «Ve' che non par che luca
non par che luca: non sembra che traluca, cioè che il raggio attraversi il corpo, come è invece normale per gli spiriti.
5.5
lo raggio da sinistra a quel di sotto,
a quel di sotto: salendo, Dante segue Virgilio, perciò si trova di sotto.
5.6
e come vivo par che si conduca!».
5.7
Li occhi rivolsi al suon di questo motto,
5.8
e vidile guardar per maraviglia
5.9
pur me, pur me, e 'l lume ch'era rotto.
ch'era rotto: che era interrotto dal corpo.
5.10
«Perché l'animo tuo tanto s'impiglia»,
5.11
disse 'l maestro, «che l'andare allenti?
5.12
che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
5.13
Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
5.14
sta come torre ferma, che non crolla
5.15
già mai la cima per soffiar di venti;
5.16
ché sempre l'omo in cui pensier rampolla
5.17
sovra pensier, da sé dilunga il segno,
il segno: la meta.
5.18
perché la foga l'un de l'altro insolla».
perché la foga: perciò la viva attività ( " foga " ) di un secondo pensiero indebolisce (" insolla ") il primo. 20: del color: il rossore della vergogna.
5.19
Che potea io ridir, se non «Io vegno»?
5.20
Dissilo, alquanto del color consperso
5.21
che fa l'uom di perdon talvolta degno.
5.22
E 'ntanto per la costa di traverso
5.23
venivan genti innanzi a noi un poco,
genti: sono le anime dei morti di morte violenta, che si pentirono in extremis.
5.24
cantando "Miserere" a verso a verso.
Miserere: è il salmo L, che nella liturgia cristiana si recita durante le esequie funebri per esprimere pentimento e chiedere perdono delle colpe commesse.
5.25
Quando s'accorser ch'i' non dava loco
5.26
per lo mio corpo al trapassar d'i raggi,
5.27
mutar lor canto in un «oh!» lungo e roco;
5.28
e due di loro, in forma di messaggi,
messaggi: messaggeri.
5.29
corsero incontr'a noi e dimandarne:
5.30
«Di vostra condizion fatene saggi».
fatene saggi: informateci.
5.31
E 'l mio maestro: «Voi potete andarne
5.32
e ritrarre a color che vi mandaro
5.33
che 'l corpo di costui è vera carne.
5.34
Se per veder la sua ombra restaro,
5.35
com'io avviso, assai è lor risposto:
5.36
fàccianli onore, ed essere può lor caro».
caro: Dante, tornato sulla terra, potrà chiedere che si preghi per loro.
5.37
Vapori accesi non vid'io sì tosto
Vapori accesi: " Non vidi mai sul principio della notte stelle cadenti fendere così rapidamente il sereno e lampi sul tramonto (fendere così rapidamente) nuvole d'agosto "(Momigliano).
5.38
di prima notte mai fender sereno,
5.39
né, sol calando, nuvole d'agosto,
5.40
che color non tornasser suso in meno;
5.41
e, giunti là, con li altri a noi dier volta
5.42
come schiera che scorre sanza freno.
5.43
«Questa gente che preme a noi è molta,
5.44
e vegnonti a pregar», disse 'l poeta:
5.45
«però pur va, e in andando ascolta».
pur va: continua a camminare.
5.46
«O anima che vai per esser lieta
5.47
con quelle membra con le quai nascesti»,
5.48
venian gridando, «un poco il passo queta.
5.49
Guarda s'alcun di noi unqua vedesti,
5.50
sì che di lui di là novella porti:
5.51
deh, perché vai? deh, perché non t'arresti?
5.52
Noi fummo tutti già per forza morti,
per forza: a causa di morte violenta.
5.53
e peccatori infino a l'ultima ora;
5.54
quivi lume del ciel ne fece accorti,
quivi: in punto di morte, un'illuminazione divina ci rese consapevoli (" accorti ") del peccato in cui eravamo vissuti.
5.55
sì che, pentendo e perdonando, fora
5.56
di vita uscimmo a Dio pacificati,
5.57
che del disio di sé veder n'accora».
5.58
E io: «Perché ne' vostri visi guati,
Perché: per quanto mi sforzi di scrutare sui vostri volti.
5.59
non riconosco alcun; ma s'a voi piace
5.60
cosa ch'io possa, spiriti ben nati,
5.61
voi dite, e io farò per quella pace
5.62
che, dietro a' piedi di sì fatta guida
5.63
di mondo in mondo cercar mi si face».
5.64
E uno incominciò: «Ciascun si fida
E uno: è Iacopo del Cassero, nobile di Fano. Fu dei guelfi marchigiani, che appoggiarono Firenze contro la ghibellina Arezzo. Dal 1269 fu podestà di Bologna e avversò, con l'opera e con le parole, le mire di Azzo VIII, marchese di Ferrara, il quale giurò di vendicarsi. Quando nel 1298 fu chiamato podestà a Milano, Iacopo, per evitare il territorio estense, raggiunge via mare Venezia e di lì si diresse a Padova. Raggiunto ad Ornago da sicari di Azzo VIII, venne trucidato:.
5.65
del beneficio tuo sanza giurarlo,
5.66
pur che 'l voler nonpossa non ricida.
nonpossa: è parola composta che, per ragioni prettamente filologiche, va scritta unita.
5.67
Ond'io, che solo innanzi a li altri parlo,
5.68
ti priego, se mai vedi quel paese
5.69
che siede tra Romagna e quel di Carlo,
tra Romagna: la marca anconetana, compresa tra la Romagna e il regno di Napoli, retto da Carlo II d'Angiò.
5.70
che tu mi sie di tuoi prieghi cortese
5.71
in Fano, sì che ben per me s'adori
5.72
pur ch'i' possa purgar le gravi offese.
5.73
Quindi fu' io; ma li profondi fóri
Quindi: di lì. Cioè nacque a Fano.
5.74
ond'uscì 'l sangue in sul quale io sedea,
5.75
fatti mi fuoro in grembo a li Antenori,
in grembo a li Antenori: nella terra dei Padovani, cosi chiamati da Antenore troiano, mitico fondatore della città.
5.76
là dov'io più sicuro esser credea:
5.77
quel da Esti il fé far, che m'avea in ira
quel da Esti: Azzo VIII.
5.78
assai più là che dritto non volea.
5.79
Ma s'io fosse fuggito inver' la Mira,
la Mira: borgo fra Padova ed Oriago (" Oriaco "); Oriago si trova fra Padova e Venezia.
5.80
quando fu' sovragiunto ad Oriaco,
5.81
ancor sarei di là dove si spira.
5.82
Corsi al palude, e le cannucce e 'l braco
5.83
m'impigliar sì ch'i' caddi; e lì vid'io
5.84
de le mie vene farsi in terra laco».
5.85
Poi disse un altro: «Deh, se quel disio
un altro: è Buonconte da Montefeltro, figlio del conte Guido (cfr. Inf. c. XXVII). Nel 1289, fu con i ghibellini di Arezzo contro i Fiorentini e partecipò alla battaglia di Campaldino, (nella quale combatté anche Dante), perdendo la vita sul campo. II suo corpo non fu più ritrovato.
5.86
si compia che ti tragge a l'alto monte,
5.87
con buona pietate aiuta il mio!
5.88
Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
5.89
Giovanna o altri non ha di me cura;
Giovanna: è la moglie di Buonconte.
5.90
per ch'io vo tra costor con bassa fronte».
5.91
E io a lui: «Qual forza o qual ventura
5.92
ti traviò sì fuor di Campaldino,
ti traviò: ti trascinò così lontano da Campaldino.
5.93
che non si seppe mai tua sepultura?».
5.94
«Oh!», rispuos'elli, «a piè del Casentino
Casentino: il torrente Archiano, che scorre nel Casentino, nasce dall'Appennino sopra l'Eremo (" l'Ermo ") di Camaldoli e perde il nome (" 'l vocabol suo diventa vano "), quando sfocia nell'Arno.
5.95
traversa un'acqua c'ha nome l'Archiano,
5.96
che sovra l'Ermo nasce in Apennino.
5.97
Là 've 'l vocabol suo diventa vano,
5.98
arriva' io forato ne la gola,
5.99
fuggendo a piede e sanguinando il piano.
5.100
Quivi perdei la vista e la parola
5.101
nel nome di Maria fini', e quivi
5.102
caddi, e rimase la mia carne sola.
5.103
Io dirò vero e tu 'l ridì tra ' vivi:
5.104
l'angel di Dio mi prese, e quel d'inferno
quel d'inferno: un episodio analogo è già stato visto nell'Inferno (cfr. c. XXVII, 113).
5.105
gridava: "O tu del ciel, perché mi privi?
5.106
Tu te ne porti di costui l'etterno
l'etterno: l'anima, per una lacrima di pentimento in punto di morte, che me la toglie (" che 'l mi toglie ").
5.107
per una lagrimetta che 'l mi toglie;
5.108
ma io farò de l'altro altro governo!".
de l'altro: del corpo farò ben altro scempio.
5.109
Ben sai come ne l'aere si raccoglie
Ben sai: ben sai come si condensa nell'aria quell'umidità che si riconverte in acqua non appena sale in una zona fredda.
5.110
quell'umido vapor che in acqua riede,
5.111
tosto che sale dove 'l freddo il coglie.
5.112
Giunse quel mal voler che pur mal chiede
Giunse: quella maligna volontà, che soltanto male chiede con la sua mente, unì (" giunse ") e agitò il vapore acqueo (" fummo ") e il vento.
5.113
con lo 'ntelletto, e mosse il fummo e 'l vento
5.114
per la virtù che sua natura diede.
5.115
Indi la valle, come 'l dì fu spento,
5.116
da Pratomagno al gran giogo coperse
Pratomagno: tra Pratomagno (monte tra il Valdarno casentinese e il Valdarno superiore) e la Giogana (" gran giogo ") si stende la piana di Campaldino.
5.117
di nebbia; e 'l ciel di sopra fece intento,
intento: denso di vapori.
5.118
sì che 'l pregno aere in acqua si converse;
5.119
la pioggia cadde e a' fossati venne
5.120
di lei ciò che la terra non sofferse;
ciò che la terra: quanto la terra non assorbì.
5.121
e come ai rivi grandi si convenne,
5.122
ver' lo fiume real tanto veloce
lo fiume real: erano detti reali i fiumi che sfociavano in mare. Qui si tratta dell'Arno.
5.123
si ruinò, che nulla la ritenne.
5.124
Lo corpo mio gelato in su la foce
5.125
trovò l'Archian rubesto; e quel sospinse
l'Archian rubesto : è il soggetto della frase.
5.126
ne l'Arno, e sciolse al mio petto la croce
la croce: le braccia atteggiate in croce.
5.127
ch'i' fe' di me quando 'l dolor mi vinse;
5.128
voltòmmi per le ripe e per lo fondo,
5.129
poi di sua preda mi coperse e cinse».
5.130
«Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
5.131
e riposato de la lunga via»,
5.132
seguitò 'l terzo spirito al secondo,
5.133
«ricorditi di me, che son la Pia:
la Pia: è la senese Pia de' Tolomei, moglie di Nello d'Inghirano dei Pannocchieschi, da lui uccisa in circostanze misteriose nel castello della Pietra, in Maremma. Sembra che Nello intendesse liberarsi di lei per passare a nuove nozze con Margherita Aldobrandeschi.
5.134
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
5.135
salsi colui che 'nnanellata pria
salsi: dall'arcaico sallosi (forma sincopata): lo sa colui che prima, sposandomi, mi aveva inanellato con la sua gemma.
5.136
disposando m'avea con la sua gemma».
Purgatorio : Canto 6
6.1
Quando si parte il gioco de la zara,
il gioco de la zara: era un gioco di dadi. Al termine il gioco " si parte ", cioè i giocatori e gli spettatori si separano.
6.2
colui che perde si riman dolente,
6.3
repetendo le volte, e tristo impara;
le volte: provando nuovi lanci tenta d'indovinare, per formarsi una regola, e, rattristato, cerca d'imparare.
6.4
con l'altro se ne va tutta la gente;
l'altro: è il vincitore.
6.5
qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,
6.6
e qual dallato li si reca a mente;
6.7
el non s'arresta, e questo e quello intende;
intende: ascolta.
6.8
a cui porge la man, più non fa pressa;
a cui: colui al quale.
6.9
e così da la calca si difende.
6.10
Tal era io in quella turba spessa,
6.11
volgendo a loro, e qua e là, la faccia,
6.12
e promettendo mi sciogliea da essa.
6.13
Quiv'era l'Aretin che da le braccia
l'Aretin: è Benincasa da Laterina, paese prossimo ad Arezzo; fu giureconsulto a Bologna e, come giudice del podestà di Siena, condannò a morte un parente di Ghino di Tacco, famoso ladrone, il quale, quando Benincasa venne giudice a Roma, si vendicò uccidendolo proprio nell'aula del tribunale.
6.14
fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,
6.15
e l'altro ch'annegò correndo in caccia.
l'altro: è Guccio dei Tarlati da Pietramala, di famiglia ghibellina d'Arezzo, che in uno scontro con i Bostoli, famiglia guelfa (per altri nella battaglia di Campaldino), fu trascinato dal cavallo in Arno e vi annegò.
6.16
Quivi pregava con le mani sporte
6.17
Federigo Novello, e quel da Pisa
Federigo Novello: della famiglia dei conti Guidi, fu ucciso (nel 1289 o nel 1291) presso Bibbiena da Fumaiolo dei Bostoli.
6.18
che fé parer lo buon Marzucco forte.
che fe' parer: " quel da Pisa " è Gano degli Scornigiani, mandato a morte dal conte Ugolino, nella sua città; fece apparire dotato di rara forza d'animo suo padre Marzucco, perché questi non volle che il figlio fosse vendicato.
6.19
Vidi conte Orso e l'anima divisa
Conte Orso: è Orso degli Alberti, conte di Mangona, figlio di Napoleone (cfr. Inf. c. XXXII, 55); fu ucciso nel 1286 dal cugino Alberto, figlio di Alessandro.
6.20
dal corpo suo per astio e per inveggia,
6.21
com'e' dicea, non per colpa commisa;
6.22
Pier da la Broccia dico; e qui proveggia,
Pier de la Broccia: è l'anima divisa dal corpo per astio e per invidia (" inveggia ") e non per colpa commessa. E' Pierre de la Broche, gran ciambellano di Luigi XI e Filippo III l'Ardito, re di Francia. Acquistata grande autorità a corte, insinuò che Maria di Brabante, seconda moglie del re, avesse fatto avvelenare il figliastro Luigi, per favorire la successione del proprio figlio Filippo il Bello. L'astio della regina e l'invidia dei cortigiani causarono la sua rovina: infatti, accusato a sua volta di avere insidiato la virtù della regina, Pierre fu impiccato nel 1276. Pertanto Dante esorta Maria di Brabante a pentirsi ( " proveggia " : provveda) finché è in vita (" di qua ") perché non vada a far parte della " greggia " dei falsi accusatori, puniti nella decima bolgia dell'Inferno.
6.23
mentr'è di qua, la donna di Brabante,
6.24
sì che però non sia di peggior greggia.
6.25
Come libero fui da tutte quante
6.26
quell'ombre che pregar pur ch'altri prieghi,
pregar pur: continuavano a pregare.
6.27
sì che s'avacci lor divenir sante,
s'avacci: si affretti.
6.28
io cominciai: «El par che tu mi nieghi,
6.29
o luce mia, espresso in alcun testo
espresso: espressamente in una parte dell'Eneide (c. VI, 376), ove la Sibilla risponde a Palinuro: " Desine fata deum flecti sperare precando ", cioè : smetti di sperare che i decreti degli dei possano esser piegati con le preghiere (cfr. v. 30).
6.30
che decreto del cielo orazion pieghi;
6.31
e questa gente prega pur di questo:
6.32
sarebbe dunque loro speme vana,
6.33
o non m'è 'l detto tuo ben manifesto?».
6.34
Ed elli a me: «La mia scrittura è piana;
6.35
e la speranza di costor non falla,
non falla: non è ingannatrice.
6.36
se ben si guarda con la mente sana;
6.37
ché cima di giudicio non s'avvalla
ché cima: poiché il giudizio supremo non viene sminuito dalla circostanza per cui un atto di ardente carità porta a compimento, in un solo momento, con le preghiere, l'espiazione a cui è tenuto chi ha dimora (" s'astalla ") nel Purgatorio.
6.38
perché foco d'amor compia in un punto
6.39
ciò che de' sodisfar chi qui s'astalla;
6.40
e là dov'io fermai cotesto punto,
6.41
non s'ammendava, per pregar, difetto,
non s'ammendava: non era possibile espiare una colpa (" difetto ") con preghiere, perché le preghiere dei pagani non erano gradite a Dio.
6.42
perché 'l priego da Dio era disgiunto.
6.43
Veramente a così alto sospetto
sospetto: dubbio. Virgilio intende dire che egli non è in grado di sciogliere i dubbi di natura teologica, come lo sarà invece Beatrice.
6.44
non ti fermar, se quella nol ti dice
6.45
che lume fia tra 'l vero e lo 'ntelletto.
6.46
Non so se 'ntendi: io dico di Beatrice;
6.47
tu la vedrai di sopra, in su la vetta
6.48
di questo monte, ridere e felice».
6.49
E io: «Segnore, andiamo a maggior fretta,
6.50
ché già non m'affatico come dianzi,
già non m'affatico: Dante avverte di essere giunto al luogo dove la salita comincia ad essere per lui " soave ", secondo l'espressione di Virgilio (cfr. c. IV, 9I e segg.).
6.51
e vedi omai che 'l poggio l'ombra getta».
'l poggio l'ombra getta: il monte proietta la sua ombra, dato che il sole gli gira intorno. Sono circa le tre del pomeriggio.
6.52
«Noi anderem con questo giorno innanzi»,
6.53
rispuose, «quanto più potremo omai;
6.54
ma 'l fatto è d'altra forma che non stanzi.
ma 'l fatto: ma la cosa sta in altri termini, da come tu ritieni (" stanzi "); cioè, ancora c'è molto da salire.
6.55
Prima che sie là sù, tornar vedrai
6.56
colui che già si cuopre de la costa,
colui: il sole, che già si nasconde ai fianchi (" costa ") del monte, sì che tu non interrompi con l'ombra i suoi raggi.
6.57
sì che ' suoi raggi tu romper non fai.
6.58
Ma vedi là un'anima che, posta
posta: ferma.
6.59
sola soletta, inverso noi riguarda:
6.60
quella ne 'nsegnerà la via più tosta».
6.61
Venimmo a lei: o anima lombarda,
6.62
come ti stavi altera e disdegnosa
6.63
e nel mover de li occhi onesta e tarda!
6.64
Ella non ci dicea alcuna cosa,
6.65
ma lasciavane gir, solo sguardando
6.66
a guisa di leon quando si posa.
6.67
Pur Virgilio si trasse a lei, pregando
6.68
che ne mostrasse la miglior salita;
6.69
e quella non rispuose al suo dimando,
6.70
ma di nostro paese e de la vita
6.71
ci 'nchiese; e 'l dolce duca incominciava
6.72
«Mantua...», e l'ombra, tutta in sé romita,
romita: raccolta.
6.73
surse ver' lui del loco ove pria stava,
6.74
dicendo: «O Mantoano, io son Sordello
Sordello: è Sordello da Goito (città del Mantovano), celebre poeta e trovatore alla provenzale del sec. XIII. Da giovane fu a Verona, ove cantò Cunizza da Romano, moglie del signore della città, Riccardo di San Bonifacio; visse poi in Francia, in Spagna, in Provenza, presso il conte Raimondo Berlinghieri IV e alla corte di Carlo I d'Angiò. Famosi il suo compianto ("planh") in morte di ser Blacatz, cavaliere provenzale, e il poemetto "Ensenhamen d'onor".
6.75
de la tua terra!»; e l'un l'altro abbracciava.
6.76
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
ostello: albergo.
6.77
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
6.78
non donna di province, ma bordello!
non donna: non signora di province. Si allude alle leggi di Giustiniano, secondo le quali l'Italia non era " provincia, sed domina provinciarum ".
6.79
Quell'anima gentil fu così presta,
6.80
sol per lo dolce suon de la sua terra,
6.81
di fare al cittadin suo quivi festa;
cittadin: concittadino.
6.82
e ora in te non stanno sanza guerra
6.83
li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
6.84
di quei ch'un muro e una fossa serra.
di quei: si combattono l'un l'altro i cittadini della medesima città.
6.85
Cerca, misera, intorno da le prode
intorno da le prode: lungo le spiagge.
6.86
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
6.87
s'alcuna parte in te di pace gode.
6.88
Che val perché ti racconciasse il freno
Che val: a che giova che Giustiniano riordinasse il Corpus delle leggi ( " il freno ") se nessuno le fa rispettare (" se la sella è vota ").
6.89
Iustiniano, se la sella è vota?
6.90
Sanz'esso fora la vergogna meno.
Cesare: si allude al detto del Vangelo " Date a Cesare ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio " (Matteo, XXII, 21).
6.91
Ahi gente che dovresti esser devota,
6.92
e lasciar seder Cesare in la sella,
6.93
se bene intendi ciò che Dio ti nota,
6.94
guarda come esta fiera è fatta fella
fiera: è l'immagine dell'Italia paragonata al cavallo (cfr. v. 88), che prosegue. Fella: ribelle.
6.95
per non esser corretta da li sproni,
6.96
poi che ponesti mano a la predella.
predella: è la briglia, nella parte vicina al morso, che serve per condurre a mano il cavallo. Il rimprovero è rivolto agli ecclesiastici (" gente che dovresti esser devota "), e in particolare al papa, Bonifacio VIII; in più Dante sembra volerli accusare di insipienza e d'incapacità, in quanto non sanno cavalcare la " fiera ", ma la conducono a mano con la " predella ".
6.97
O Alberto tedesco ch'abbandoni
O Alberto tedesco: è Alberto I d'Austria, imperatore dal 1298, morto nel 1308.
6.98
costei ch'è fatta indomita e selvaggia,
6.99
e dovresti inforcar li suoi arcioni,
6.100
giusto giudicio da le stelle caggia
giusto giudicio: una meritata punizione ricada dal cielo sulla tua famiglia e sia inconsueta ed evidente, sì che il tuo successore ne rimanga impressionato. La sciagura profetizzata sarà la morte del primogenito Rodolfo; il successore é Arrigo VII, in cui Dante riponeva ogni speranza di veder restaurato l'impero.
6.101
sovra 'l tuo sangue, e sia novo e aperto,
6.102
tal che 'l tuo successor temenza n'aggia!
6.103
Ch'avete tu e 'l tuo padre sofferto,
Ch'avete: poiché tu e tuo padre Rodolfo d'Asburgo avete tollerato, presi (" distretti ") dalla cupidigia di consolidare i domini d'oltralpe ( " di costà " ) che il giardino dell'Impero, cioè l'Italia, sia lasciato in rovinoso abbandono. Infatti, dalla morte di Federico II (1250) alla discesa di Arrigo VII (1310), in Italia l'Impero si può considerare vacante.
6.104
per cupidigia di costà distretti,
6.105
che 'l giardin de lo 'mperio sia diserto.
6.106
Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
Montecchi: famiglia ghibellina di Verona, ostile ai " Cappelletti " (sono i famosi Capuleti del dramma Shakesperiano); altro esempio di rivalità municipale è dato dai Monaldi e dai Filippeschi di Orvieto.
6.107
Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
6.108
color già tristi, e questi con sospetti!
6.109
Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura
la pressura: le pressioni a cui sono sottoposti i tuoi vassalli.
6.110
d'i tuoi gentili, e cura lor magagne;
6.111
e vedrai Santafior com'è oscura!
Santafior: contea degli Aldobrandeschi, nel Montamiata, insidiata dai Senesi e dal papa.
6.112
Vieni a veder la tua Roma che piagne
6.113
vedova e sola, e dì e notte chiama:
6.114
«Cesare mio, perché non m'accompagne?».
6.115
Vieni a veder la gente quanto s'ama!
6.116
e se nulla di noi pietà ti move,
6.117
a vergognar ti vien de la tua fama.
6.118
E se licito m'è, o sommo Giove
o sommo Giove: o sommo Dio.
6.119
che fosti in terra per noi crucifisso,
6.120
son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
6.121
O è preparazion che ne l'abisso
è preparazione. Oppure, il male presente è preparazione di un futuro bene completamente nascosto (" scisso ") al nostro umano intelletto (" l'accorger nostro " ).
6.122
del tuo consiglio fai per alcun bene
6.123
in tutto de l'accorger nostro scisso?
6.124
Ché le città d'Italia tutte piene
6.125
son di tiranni, e un Marcel diventa
un Marcel: forse il console Caio Claudio Marcello, avversario di Cesare. Altri intendono Marcello, vincitore di Siracusa, di cui si ricorda l'ordine, non eseguito, di risparmiare Archimede. Ogni contadino che occupi una carica pubblica, in virtù della sua faziosità (" parteggiando "), ritiene di esser diventato un Marcello.
6.126
ogne villan che parteggiando viene.
6.127
Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
6.128
di questa digression che non ti tocca,
6.129
mercé del popol tuo che si argomenta.
mercé del popol tuo: grazie al tuo popolo che s'ingegna (" s'argomenta ") a far sì che questa " digression " non ti riguardi.
6.130
Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
Molti: molti, fuori di Firenze, possiedono in cuore il senso della giustizia; tuttavia, esso è lento a tradursi in parole, per non giungere al verdetto (" a l'arco ") avventatamente (" sanza consiglio "). Ma il tuo popolo ha il giudizio sempre a fior di labbra.
6.131
per non venir sanza consiglio a l'arco;
6.132
ma il popol tuo l'ha in sommo de la bocca.
6.133
Molti rifiutan lo comune incarco;
lo comune incarco: le cariche pubbliche.
6.134
ma il popol tuo solicito risponde
6.135
sanza chiamare, e grida: «I' mi sobbarco!».
sanza chiamare: senza essere chiamato e grida: Io accetto di assumere quest'onere (" I' mi sobbarco ! ").
6.136
Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde:
6.137
tu ricca, tu con pace, e tu con senno!
6.138
S'io dico 'l ver, l'effetto nol nasconde.
l'effetto nol nasconde: si vede dai risultati.
6.139
Atene e Lacedemona, che fenno
Lacedemona: Sparta.
6.140
l'antiche leggi e furon sì civili,
6.141
fecero al viver bene un picciol cenno
un picciol cenno: un modesto esempio in confronto a te.
6.142
verso di te, che fai tanto sottili
6.143
provedimenti, ch'a mezzo novembre
ch'a mezzo novembre: che i decreti sanciti in ottobre, non arrivano alla metà di novembre.
6.144
non giugne quel che tu d'ottobre fili.
6.145
Quante volte, del tempo che rimembre,
che rimembre: di cui tu hai memoria.
6.146
legge, moneta, officio e costume
6.147
hai tu mutato e rinovate membre!
membre: i cittadini, ora esiliati, ora richiamati.
6.148
E se ben ti ricordi e vedi lume,
e vedi lume: e riesci a distinguere.
6.149
vedrai te somigliante a quella inferma
6.150
che non può trovar posa in su le piume,
6.151
ma con dar volta suo dolore scherma.
Purgatorio : Canto 7
7.1
Poscia che l'accoglienze oneste e liete
7.2
furo iterate tre e quattro volte,
iterate: rinnovate, ripetute le accoglienze cortesi e liete.
7.3
Sordel si trasse, e disse: «Voi, chi siete?».
7.4
«Anzi che a questo monte fosser volte
Anzi: prima che Cristo, lavando la macchia del peccato originale, consentisse alle anime degne di salire al cielo.
7.5
l'anime degne di salire a Dio,
7.6
fur l'ossa mie per Ottavian sepolte.
per Ottavian: per ordine di Ottaviano.
7.7
Io son Virgilio; e per null'altro rio
rio: colpa, cioè quella di non aver fede nel Cristo venturo.
7.8
lo ciel perdei che per non aver fé».
7.9
Così rispuose allora il duca mio.
7.10
Qual è colui che cosa innanzi sé
7.11
sùbita vede ond'e' si maraviglia,
7.12
che crede e non, dicendo «Ella è... non è...»,
7.13
tal parve quelli; e poi chinò le ciglia,
7.14
e umilmente ritornò ver' lui,
ritornò: Sordello si era un poco allontanato (" si trasse " v. 3), " come denno fare le savie persone, che non denno stare con volto a volto " (Buti).
7.15
e abbracciòl là 've 'l minor s'appiglia.
e abbracciòl là: " non più a collo, ma più giù, al petto o alle ginocchia " (Torraca).
7.16
«O gloria di Latin», disse, «per cui
7.17
mostrò ciò che potea la lingua nostra,
7.18
o pregio etterno del loco ond'io fui,
7.19
qual merito o qual grazia mi ti mostra?
7.20
S'io son d'udir le tue parole degno,
7.21
dimmi se vien d'inferno, e di qual chiostra».
e di qual chiostra: da quale cerchio.
7.22
«Per tutt'i cerchi del dolente regno»,
7.23
rispuose lui, «son io di qua venuto;
7.24
virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno.
7.25
Non per far, ma per non fare ho perduto
Non per far: non per aver fatto il male, ma per mancanza di fede adeguata (" per non fare ") ho perduto la speranza di vedere Dio ( " l'alto Sol " ).
7.26
a veder l'alto Sol che tu disiri
7.27
e che fu tardi per me conosciuto.
7.28
Luogo è là giù non tristo di martìri,
non tristo: non contristato dai castighi divini (" martìri ").
7.29
ma di tenebre solo, ove i lamenti
7.30
non suonan come guai, ma son sospiri.
guai: urla bestiali (cfr. Inf. c. III, 22).
7.31
Quivi sto io coi pargoli innocenti
7.32
dai denti morsi de la morte avante
7.33
che fosser da l'umana colpa essenti;
l'umana colpa: il peccato originale, che il Battesimo cancella.
7.34
quivi sto io con quei che le tre sante
le tre sante virtù: le tre virtù teologali: le anime del Limbo praticarono solo le quattro cardinali (" l'altre ").
7.35
virtù non si vestiro, e sanza vizio
7.36
conobber l'altre e seguir tutte quante.
7.37
Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio
7.38
dà noi per che venir possiam più tosto
7.39
là dove purgatorio ha dritto inizio».
ha dritto inizio: realmente comincia. Siamo ancora nell'Antipurgatorio.
7.40
Rispuose: «Loco certo non c'è posto;
Loco: non ci è imposto ( " posto " ) un luogo determinato (" certo ") ma mi è concesso andare all'intorno e verso la porta del Purgatorio (" suso "); e per quanto posso procedere, ti sarò vicino come guida.
7.41
licito m'è andar suso e intorno;
7.42
per quanto ir posso, a guida mi t'accosto.
7.43
Ma vedi già come dichina il giorno,
dichina: declina, tramonta.
7.44
e andar sù di notte non si puote;
7.45
però è buon pensar di bel soggiorno.
è buon: è bene pensare a un luogo adatto a trascorrervi la notte.
7.46
Anime sono a destra qua remote:
7.47
se mi consenti, io ti merrò ad esse,
merrò: menerò, condurrò.
7.48
e non sanza diletto ti fier note».
fier: saranno.
7.49
«Com'è ciò?», fu risposto. «Chi volesse
7.50
salir di notte, fora elli impedito
fora: sarebbe.
7.51
d'altrui, o non sarria ché non potesse?».
o non sarria: o non salirebbe per il fatto che non potrebbe farlo con le sue forze?.
7.52
E 'l buon Sordello in terra fregò 'l dito,
7.53
dicendo: «Vedi? sola questa riga
7.54
non varcheresti dopo 'l sol partito:
7.55
non però ch'altra cosa desse briga,
non però: non però che vi fosse altro impedimento (" altra cosa desse briga "), al salire oltre la tenebra notturna; quella frena la volontà (" intriga ") soltanto col togliere la possibilità.
7.56
che la notturna tenebra, ad ir suso;
7.57
quella col nonpoder la voglia intriga.
7.58
Ben si poria con lei tornare in giuso
7.59
e passeggiar la costa intorno errando,
7.60
mentre che l'orizzonte il dì tien chiuso».
mentre: finché la linea dell'orizzonte nasconde il giorno.
7.61
Allora il mio segnor, quasi ammirando,
ammirando: meravigliandosi (cfr. lat. mirari).
7.62
«Menane», disse, «dunque là 've dici
7.63
ch'aver si può diletto dimorando».
7.64
Poco allungati c'eravam di lici,
lici: lì.
7.65
quand'io m'accorsi che 'l monte era scemo,
7.66
a guisa che i vallon li sceman quici.
quici: qui, cioè come i valloni incavano (" sceman ") i monti qui sulla terra.
7.67
«Colà», disse quell'ombra, «n'anderemo
7.68
dove la costa face di sé grembo;
7.69
e là il novo giorno attenderemo».
7.70
Tra erto e piano era un sentiero schembo,
schembo: obliquo e né ripido, né pianeggiante ( " Tra erto e piano " ).
7.71
che ne condusse in fianco de la lacca,
lacca: è la valle incavata.
7.72
là dove più ch'a mezzo muore il lembo.
là dove: nella parte in cui l'avvallamento è meno profondo, dove, cioè, il margine (" lembo ") comincia a scendere ( " muore " ) di oltre la metà ( " più ch'a mezzo " ).
7.73
Oro e argento fine, cocco e biacca,
cocco e biacca: il color rosso carminio ricavato dalla cocciniglia (lat. coccum) e il bianco della biacca; cui si aggiunge l'azzurro (" indaco ") e il colore brillante del chiaro (" sereno "), il verde smeraldo, nel momento in cui si spezza (" in l'ora che si fiacca "), mostrando all'interno un più acceso colore che in superficie.
7.74
indaco, legno lucido e sereno,
Purgatorio : Canto 47
47.75
fresco smeraldo in l'ora che si fiacca,
Purgatorio : Canto 7
7.76
da l'erba e da li fior, dentr'a quel seno
7.77
posti, ciascun saria di color vinto,
7.78
come dal suo maggiore è vinto il meno.
7.79
Non avea pur natura ivi dipinto,
pur: soltanto.
7.80
ma di soavità di mille odori
7.81
vi facea uno incognito e indistinto.
7.82
`Salve, Regina' in sul verde e 'n su' fiori
7.83
quindi seder cantando anime vidi,
7.84
che per la valle non parean di fuori.
non parean: non erano visibili dal di fuori, per via della valle che li nascondeva.
7.85
«Prima che 'l poco sole omai s'annidi»,
s'annidi: si nasconda, tramonti completamente.
7.86
cominciò 'l Mantoan che ci avea vòlti,
'l Mantoan: Sordello, che aveva guidati (" vòlti ").
7.87
«tra color non vogliate ch'io vi guidi.
7.88
Di questo balzo meglio li atti e ' volti
7.89
conoscerete voi di tutti quanti,
7.90
che ne la lama giù tra essi accolti.
lama: depressione (cfr. Inf. c. XX, 79); è la valletta.
7.91
Colui che più siede alto e fa sembianti
Colui: è Rodolfo d'Asburgo, che ha trascurato ( " negletto " ) il suo dovere nei confronti dell'Italia (cfr. c. VI, 103 e n.).
7.92
d'aver negletto ciò che far dovea,
7.93
e che non move bocca a li altrui canti,
7.94
Rodolfo imperador fu, che potea
7.95
sanar le piaghe c'hanno Italia morta,
7.96
sì che tardi per altri si ricrea.
sì che tardi: sì che ormai tardi l'Italia rinascerà ( " si ricrea " ) per merito ed opera di un altro. Cioè, come Dante sperava, di Arrigo VII.
7.97
L'altro che ne la vista lui conforta,
7.98
resse la terra dove l'acqua nasce
7.99
che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta:
che Molta in Albia : che la Moldava versa nell'Elba….
7.100
Ottacchero ebbe nome, e ne le fasce
Ottacchero: è Ottocaro II, re di Boemia dal 1253 al 1278; che, pur da fanciullo (" ne le fasce "), fu assai migliore di suo figlio Venceslao da adulto.
7.101
fu meglio assai che Vincislao suo figlio
7.102
barbuto, cui lussuria e ozio pasce.
7.103
E quel nasetto che stretto a consiglio
nasetto: è Filippo III l'Ardito, re di Francia, così detto per il suo piccolissimo naso. Fu padre di Filippo il Bello e di Carlo di Valois; morì a Perpignano, fuggendo davanti all'incalzare di Pietro III d'Aragona, disonorando il giglio, emblema della Francia.
7.104
par con colui c'ha sì benigno aspetto,
7.105
morì fuggendo e disfiorando il giglio:
7.106
guardate là come si batte il petto!
7.107
L'altro vedete c'ha fatto a la guancia
L'altro: è Enrico I il Grasso, re di Navarra dal 1270 al 1274, suocero di Filippo il Bello (" mal di Francia " cfr. Inf. c. XIX, n. 83).
7.108
de la sua palma, sospirando, letto.
7.109
Padre e suocero son del mal di Francia:
7.110
sanno la vita sua viziata e lorda,
7.111
e quindi viene il duol che sì li lancia.
li lancia: li trafigge.
7.112
Quel che par sì membruto e che s'accorda,
Quel che par: è Pietro III d'Aragona, il Grande.
7.113
cantando, con colui dal maschio naso,
colui dal maschio naso: è Carlo I d'Angiò.
7.114
d'ogne valor portò cinta la corda;
d'ogne: fu adorno d'ogni virtù.
7.115
e se re dopo lui fosse rimaso
7.116
lo giovanetto che retro a lui siede,
lo giovanetto : può essere Alfonso III, primogenito di Pietro III, o l'ultimo figlio di questi, Pietro, morto in giovane età.
7.117
ben andava il valor di vaso in vaso,
di vaso in vaso: di generazione in generazione, cosa che non si può dire degli altri eredi (" rede "): Giacomo e Federico (v. 119).
7.118
che non si puote dir de l'altre rede;
7.119
Iacomo e Federigo hanno i reami;
Iacomo e Federigo: il primo, incoronato re di Sicilia nel 1286 col nome di Giacomo II e successo al fratello Alfonso nel regno di Aragona; l'altro re di Sicilia nel 1296, col nome di Federico II (cfr. c. III, n. 115). Ma nessuno dei due possiede la virtù paterna (" retaggio miglior " ).
7.120
del retaggio miglior nessun possiede.
7.121
Rade volte risurge per li rami
7.122
l'umana probitate; e questo vole
7.123
quei che la dà, perché da lui si chiami.
perché da lui si chiami: perché la si invochi da lui e la si riconosca da lui concessa.
7.124
Anche al nasuto vanno mie parole
al nasuto: a Carlo I d'Angiò (cfr. v. 113).
7.125
non men ch'a l'altro, Pier, che con lui canta,
7.126
onde Puglia e Proenza già si dole.
Puglia e Proenza: il regno di Napoli (" Puglia ") e la Provenza già si dolgono di Carlo II, figlio di Carlo I.
7.127
Tant'è del seme suo minor la pianta,
Tant'è: Carlo II (" la pianta ") è inferiore a Carlo I (" seme ") tanto quanto la vedova di Pietro III (" Costanza ", figlia di Manfredi) ancora (era viva nel 1300) si vanta del marito più di quel che possano (" più che ") le due mogli di Carlo I (" Beatrice " di Provenza e " Margherita " di Borgogna). In conclusione, la frase vale: Carlo II è inferiore a Carlo I quanto Carlo I è inferiore a Pietro III.
7.128
quanto più che Beatrice e Margherita,
7.129
Costanza di marito ancor si vanta.
7.130
Vedete il re de la semplice vita
7.131
seder là solo, Arrigo d'Inghilterra:
7.132
questi ha ne' rami suoi migliore uscita.
questi ha: Arrigo III d'Inghilterra ebbe una miglior discendenza (" uscita "); allusione ad Edoardo I (1272-1307), detto il Giustiniano inglese.
7.133
Quel che più basso tra costor s'atterra,
7.134
guardando in suso, è Guiglielmo marchese,
Guiglielmo Marchese: è Guglielmo VII, detto Spadalunga, marchese del Monferrato, vicario imperiale e condottiero ghibellino, morto in prigionia; per vendicarlo, il figlio Giovanni I assalì Alessandria, città che con i dolorosi effetti della controffensiva (" la sua guerra ") portò desolazione (" fa pianger ") nel Monferrato e nel Canavese, che costituivano il marchesato dell'aggressore.
7.135
per cui e Alessandria e la sua guerra
7.136
fa pianger Monferrato e Canavese».
Purgatorio : Canto 8
8.1
Era già l'ora che volge il disio
Era già l'ora: era già l'ora che accende la nostalgia (" disio ") dei naviganti (l'ora è soggetto anche di " 'ntenerisce " e di " punge ").
8.2
ai navicanti e 'ntenerisce il core
8.3
lo dì c'han detto ai dolci amici addio;
8.4
e che lo novo peregrin d'amore
lo novo peregrin: il pellegrino da poco in viaggio.
8.5
punge, se ode squilla di lontano
8.6
che paia il giorno pianger che si more;
che paia: che sembri pianger il giorno al tramonto (" che si more ").
8.7
quand'io incominciai a render vano
a render vano l'udire: a non sentire più.
8.8
l'udire e a mirare una de l'alme
8.9
surta, che l'ascoltar chiedea con mano.
8.10
Ella giunse e levò ambo le palme,
8.11
ficcando li occhi verso l'oriente,
8.12
come dicesse a Dio: "D'altro non calme".
non calme: non m'importa (non mi cale).
8.13
"Te lucis ante" sì devotamente
Te lucis ante: verso iniziale di un inno, attribuito a Sant'Ambrogio, con il quale nella liturgia cristiana, durante la compieta, si chiede aiuto a Dio contro le tentazioni della notte.
8.14
le uscìo di bocca e con sì dolci note,
8.15
che fece me a me uscir di mente;
8.16
e l'altre poi dolcemente e devote
8.17
seguitar lei per tutto l'inno intero,
8.18
avendo li occhi a le superne rote.
a le superne rote: alle sfere celesti.
8.19
Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero,
8.20
ché 'l velo è ora ben tanto sottile,
'l velo: il senso letterale dietro il quale si nasconde l'allegoria.
8.21
certo che 'l trapassar dentro è leggero.
8.22
Io vidi quello essercito gentile
8.23
tacito poscia riguardare in sùe
8.24
quasi aspettando, palido e umìle;
8.25
e vidi uscir de l'alto e scender giùe
8.26
due angeli con due spade affocate,
affocate: color fuoco, fiammeggianti(cfr. Inf. c. VIII, 74).
8.27
tronche e private de le punte sue.
tronche: spuntate, perché, oltre la giustizia di Dio, ne simboleggiano la misericordia.
8.28
Verdi come fogliette pur mo nate
pur mo: appena.
8.29
erano in veste, che da verdi penne
8.30
percosse traean dietro e ventilate.
8.31
L'un poco sovra noi a star si venne,
8.32
e l'altro scese in l'opposita sponda,
8.33
sì che la gente in mezzo si contenne.
si contenne: fu contenuta.
8.34
Ben discernea in lor la testa bionda;
8.35
ma ne la faccia l'occhio si smarria,
8.36
come virtù ch'a troppo si confonda.
8.37
«Ambo vegnon del grembo di Maria»,
8.38
disse Sordello, «a guardia de la valle,
8.39
per lo serpente che verrà vie via».
vie via: fra poco.
8.40
Ond'io, che non sapeva per qual calle,
8.41
mi volsi intorno, e stretto m'accostai,
8.42
tutto gelato, a le fidate spalle.
fidate spalle: di Virgilio.
8.43
E Sordello anco: «Or avvalliamo omai
avvalliamo: discendiamo nella valletta.
8.44
tra le grandi ombre, e parleremo ad esse;
8.45
grazioso fia lor vedervi assai».
8.46
Solo tre passi credo ch'i' scendesse,
Solo tre passi: il tre ha valore generico; si ricordi, ad ogni modo, che il punto ove Dante si trova non è molto elevato e che la valle in quel punto è poco profonda (cfr. c. VII, 72).
8.47
e fui di sotto, e vidi un che mirava
8.48
pur me, come conoscer mi volesse.
pur me: proprio me, come se mi volesse riconoscere.
8.49
Temp'era già che l'aere s'annerava,
8.50
ma non sì che tra li occhi suoi e ' miei
8.51
non dichiarisse ciò che pria serrava.
non dichiarisse: non lasciasse scorgere chiaramente.
8.52
Ver' me si fece, e io ver' lui mi fei:
8.53
giudice Nin gentil, quanto mi piacque
giudice Nin: è Nino o Ugolino Visconti, pisano, nipote del conte Ugolino della Gherardesca; fu giudice di Gallura, in Sardegna, e capo della lega guelfa contro i ghibellini di Pisa. Morì nel 1296. " Nessun'altra, forse, delle figure del poema, ha avuto da Dante un tal fondo, dove luci ed ombre, immagini ed atteggiamenti dispongano a maggior delicatezza e intimità d'affetti il cuore di chi legge " (Del Lungo).
8.54
quando ti vidi non esser tra ' rei!
8.55
Nullo bel salutar tra noi si tacque;
8.56
poi dimandò: «Quant'è che tu venisti
8.57
a piè del monte per le lontane acque?».
8.58
«Oh!», diss'io lui, «per entro i luoghi tristi
per entro i luoghi tristi: attraverso l'Inferno.
8.59
venni stamane, e sono in prima vita,
in prima vita: nella vita terrena, sebbene, così procedendo, mi purifichi per meritare la vita eterna (" l'altra ").
8.60
ancor che l'altra, sì andando, acquisti».
8.61
E come fu la mia risposta udita,
8.62
Sordello ed elli in dietro si raccolse
8.63
come gente di sùbito smarrita.
8.64
L'uno a Virgilio e l'altro a un si volse
8.65
che sedea lì, gridando:«Sù, Currado!
Currado: è Corrado Malaspina, nipote di Corrado il vecchio, capostipite della famiglia che signoreggiò la Val di Magra e altre parti della Lunigiana.
8.66
vieni a veder che Dio per grazia volse».
che Dio…: che cosa Dio volle.
8.67
Poi, vòlto a me: «Per quel singular grado
singular grado: particolare gratitudine.
8.68
che tu dei a colui che sì nasconde
8.69
lo suo primo perché, che non lì è guado,
lo suo primo perché: le ragioni del suo operare, in modo che non sono raggiungibili (" non li è guado ").
8.70
quando sarai di là da le larghe onde,
di là: di là dal mare che è tra questa montagna e la terra dei viventi.
8.71
dì a Giovanna mia che per me chiami
Giovanna: è la figlia di Nino, che nel 1300 contava nove anni.
8.72
là dove a li 'nnocenti si risponde.
8.73
Non credo che la sua madre più m'ami,
la sua madre: è Beatrice d'Este, figlia di Obizzo II (cfr. Inf. XII, III). Rimasta vedova, passò a nuove nozze, togliendo le bende bianche che le donne portavano sull'abito nero in segno di lutto, e sposò, nel 1300, Galeazzo Visconti, figlio del signore di Milano, Matteo Visconti.
8.74
poscia che trasmutò le bianche bende,
8.75
le quai convien che, misera!, ancor brami.
8.76
Per lei assai di lieve si comprende
8.77
quanto in femmina foco d'amor dura,
8.78
se l'occhio o 'l tatto spesso non l'accende.
8.79
Non le farà sì bella sepultura
8.80
la vipera che Melanesi accampa,
la vipera: è il biscione che figura nell'arma dei Visconti di Milano, mentre il gallo è l'insegna dei Visconti di Pisa.
8.81
com'avria fatto il gallo di Gallura».
8.82
Così dicea, segnato de la stampa,
8.83
nel suo aspetto, di quel dritto zelo
dritto zelo: giusto risentimento che non eccede la misura.
8.84
che misuratamente in core avvampa.
8.85
Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo,
ghiotti: desiderosi di vedere (cfr. Inf. c. XVI, 51).
8.86
pur là dove le stelle son più tarde,
là dove: verso il polo (antartico) dove le stelle si muovono più lentamente, come la parte della ruota vicina all'asse.
8.87
sì come rota più presso a lo stelo.
8.88
E 'l duca mio: «Figliuol, che là sù guarde?».
8.89
E io a lui: «A quelle tre facelle
tre facelle: tre stelle indeterminate, simboleggianti le tre virtù teologali: Fede, Speranza e Carità.
8.90
di che 'l polo di qua tutto quanto arde».
8.91
Ond'elli a me: «Le quattro chiare stelle
Le quattro chiare stelle: cfr. c. I, 23 e segg.
8.92
che vedevi staman, son di là basse,
8.93
e queste son salite ov'eran quelle».
8.94
Com'ei parlava, e Sordello a sé il trasse
e Sordello: ecco che Sordello.
8.95
dicendo:«Vedi là 'l nostro avversaro»;
avversaro: espressione biblica (cfr. Apoc.XII,98), che indica il demonio tentatore (cfr. c. XI, 20).
8.96
e drizzò il dito perché 'n là guardasse.
8.97
Da quella parte onde non ha riparo
8.98
la picciola vallea, era una biscia,
8.99
forse qual diede ad Eva il cibo amaro.
il cibo amaro: il frutto proibito, causa del peccato originale.
8.100
Tra l'erba e ' fior venìa la mala striscia,
8.101
volgendo ad ora ad or la testa, e 'l dosso
8.102
leccando come bestia che si liscia.
8.103
Io non vidi, e però dicer non posso,
8.104
come mosser li astor celestiali;
li astor: uccelli da preda nemici dei serpenti. Ad essi sono paragonati gli angeli (" celestiali ").
8.105
ma vidi bene e l'uno e l'altro mosso.
8.106
Sentendo fender l'aere a le verdi ali,
a le verdi ali: dalle verdi ali. l09. L'ombra: Corrado Malaspina (cfr. v. 64 e seg.).
8.107
fuggì 'l serpente, e li angeli dier volta,
8.108
suso a le poste rivolando iguali.
8.109
L'ombra che s'era al giudice raccolta
8.110
quando chiamò, per tutto quello assalto
8.111
punto non fu da me guardare sciolta.
punto non fu: non fu sciolta neppure un attimo, cioè rimase legata a me con lo sguardo.
8.112
«Se la lucerna che ti mena in alto
Se la lucerna: possa la grazia illuminante di Dio. "Se" ha il consueto valore ottativo.
8.113
truovi nel tuo arbitrio tanta cera
8.114
quant'è mestiere infino al sommo smalto»,
8.115
cominciò ella, «se novella vera
8.116
di Val di Magra o di parte vicina
8.117
sai, dillo a me, che già grande là era.
8.118
Fui chiamato Currado Malaspina;
8.119
non son l'antico, ma di lui discesi;
8.120
a' miei portai l'amor che qui raffina».
8.121
«Oh!», diss'io lui, «per li vostri paesi
8.122
già mai non fui; ma dove si dimora
8.123
per tutta Europa ch'ei non sien palesi?
8.124
La fama che la vostra casa onora,
8.125
grida i segnori e grida la contrada,
8.126
sì che ne sa chi non vi fu ancora;
8.127
e io vi giuro, s'io di sopra vada,
8.128
che vostra gente onrata non si sfregia
non si sfregia: non ha perso il pregio, il vanto della liberalità (" borsa ") e del valore (" spada ").
8.129
del pregio de la borsa e de la spada.
8.130
Uso e natura sì la privilegia,
8.131
che, perché il capo reo il mondo torca,
perché: per quanto, sebbene la cattiva condotta ( " il capo reo " ) faccia traviare il mondo.
8.132
sola va dritta e 'l mal cammin dispregia».
8.133
Ed elli: «Or va; che 'l sol non si ricorca
Or va: va, che il sole non tramonterà sette volte nel segno dell'Ariete (" 'l Montone "), cioè non passeranno sette anni, che questa cortese opinione, che hai dei Malaspina, ti sarà ribadita (" chiavata " cfr. Inf. c. XXXIII, 46) con ben altri argomenti (" chiovi ") che i discorsi degli altri, se il corso del giudizio divino non s'interrompe. Dante, infatti, sarà ospite dei Malaspina nel.
8.134
sette volte nel letto che 'l Montone
8.135
con tutti e quattro i piè cuopre e inforca,
8.136
che cotesta cortese oppinione
8.137
ti fia chiavata in mezzo de la testa
8.138
con maggior chiovi che d'altrui sermone,
8.139
se corso di giudicio non s'arresta».
Purgatorio : Canto 9
9.1
La concubina di Titone antico
la concubina: l'Aurora, compagna (nel senso etimologico, da "concumbo": giaccio insieme) di Titone, mitico personaggio cui gli dei avevan concesso l'immortalità, senza però dotarlo dell'eterna giovinezza ( " antico ", cioè vecchio), già si schiariva affacciandosi al balcone (" balco ") orientale, uscendo dalle braccia del suo dolce amico (Titone). Naturalmente l'Aurora è apparsa nell'emisfero boreale (cfr. v. 7 e segg.).
9.2
già s'imbiancava al balco d'oriente,
9.3
fuor de le braccia del suo dolce amico;
9.4
di gemme la sua fronte era lucente,
9.5
poste in figura del freddo animale
freddo animale: potrebbe essere lo Scorpione, sebbene da noi, poco prima del sorgere del sole, nell'equinozio di primavera, si veda la costellazione dei Pesci; però l'immagine " con la coda percuote " meglio si adatta allo Scorpione, che in quel periodo si trova più su dei Pesci, come se " l'Aurora protenda il capo verso il mezzo del cielo, sì che le stelle dello Scorpione le stieno in fronte a guisa di splendida corona " (Torraca).
9.6
che con la coda percuote la gente;
9.7
e la notte, de' passi con che sale,
e la notte: e in Purgatorio (" nel loco ov'eravamo " ) la notte aveva compiuto due passi e il terzo era a metà (" già chinava.); sono trascorse quasi tre ore di notte.
9.8
fatti avea due nel loco ov'eravamo,
9.9
e 'l terzo già chinava in giuso l'ale;
9.10
quand'io, che meco avea di quel d'Adamo,
quel d'Adamo: il corpo.
9.11
vinto dal sonno, in su l'erba inchinai
9.12
là 've già tutti e cinque sedavamo.
9.13
Ne l'ora che comincia i tristi lai
9.14
la rondinella presso a la mattina,
9.15
forse a memoria de' suo' primi guai,
primi guai: secondo la leggenda, Tereo usò violenza alla cognata Filomena, la quale, per vendetta, aiutò la sorella Progne, moglie dell'infedele, ad uccidere il figlio Iti per imbandire le carni al padre. Scoperto l'atroce misfatto, Progne fu trasformata in rondine e Filomena in usignolo, mentre cercavano di sfuggire alla spada di Tereo. Qui però Dante segue la versione per cui in rondine fu mutata Filomena, che al mattino si lamenta dell'oltraggio subìto (" primi guai ").
9.16
e che la mente nostra, peregrina
9.17
più da la carne e men da' pensier presa,
9.18
a le sue vision quasi è divina,
quasi è divina: si credeva ai tempi di Dante che i sogni avuti sul far del mattino fossero veritieri (cfr. Inf. c. XXVI, 7).
9.19
in sogno mi parea veder sospesa
9.20
un'aguglia nel ciel con penne d'oro,
9.21
con l'ali aperte e a calare intesa;
9.22
ed esser mi parea là dove fuoro
là dove: sul monte Ida, nella Troade, dove Ganimede fu rapito dall'aquila di Giove, per esser condotto a servire nelle riunioni degli dei (" sommo consistoro " ), come coppiere.
9.23
abbandonati i suoi da Ganimede,
9.24
quando fu ratto al sommo consistoro.
9.25
Fra me pensava: "Forse questa fiede
fiede: ferisce, colpisce solo qui per consuetudine (" uso ").
9.26
pur qui per uso, e forse d'altro loco
9.27
disdegna di portarne suso in piede".
in piede: afferrando con gli artigli.
9.28
Poi mi parea che, poi rotata un poco,
9.29
terribil come folgor discendesse,
9.30
e me rapisse suso infino al foco.
al foco: la sfera del fuoco, situata dai cosmografi tra la sfera dell'aria e il cielo della luna.
9.31
Ivi parea che ella e io ardesse;
9.32
e sì lo 'ncendio imaginato cosse,
9.33
che convenne che 'l sonno si rompesse.
9.34
Non altrimenti Achille si riscosse,
Achille: Achille fu, dalla madre Teti, tolto al centauro Chirone, che l'educava, e condotto in Sciro, isola dell'Egeo, dove visse in vesti femminili alla corte del re Licomede. Di qui Ulisse e Diomede (" li Greci ") lo trassero a combattere sotto le mura di Troia (cfr. Inf. c. XXVI, 61 e n.).
9.35
li occhi svegliati rivolgendo in giro
9.36
e non sappiendo là dove si fosse,
9.37
quando la madre da Chirón a Schiro
9.38
trafuggò lui dormendo in le sue braccia,
9.39
là onde poi li Greci il dipartiro;
9.40
che mi scoss'io, sì come da la faccia
9.41
mi fuggì 'l sonno, e diventa' ismorto,
9.42
come fa l'uom che, spaventato, agghiaccia.
9.43
Dallato m'era solo il mio conforto,
il mio conforto: Virgilio, Sordello, Nino e Corrado sono rimasti nella valletta.
9.44
e 'l sole er'alto già più che due ore,
9.45
e 'l viso m'era a la marina torto.
a la marina: verso il mare, d'onde era sorto il sole.
9.46
«Non aver tema», disse il mio segnore;
9.47
«fatti sicur, ché noi semo a buon punto;
9.48
non stringer, ma rallarga ogne vigore.
non stringer: non perdere, ma accresci il tuo coraggio.
9.49
Tu se' omai al purgatorio giunto:
9.50
vedi là il balzo che 'l chiude dintorno;
9.51
vedi l'entrata là 've par digiunto.
9.52
Dianzi, ne l'alba che procede al giorno,
procede: precede.
9.53
quando l'anima tua dentro dormia,
9.54
sovra li fiori ond'è là giù addorno
9.55
venne una donna, e disse: "I' son Lucia;
Lucia: la grazia illuminante (cfr. Inf. II, 97).
9.56
lasciatemi pigliar costui che dorme;
9.57
sì l'agevolerò per la sua via".
9.58
Sordel rimase e l'altre genti forme;
9.59
ella ti tolse, e come 'l dì fu chiaro,
9.60
sen venne suso; e io per le sue orme.
9.61
Qui ti posò, ma pria mi dimostraro
9.62
li occhi suoi belli quella intrata aperta;
9.63
poi ella e 'l sonno ad una se n'andaro».
ad una: nello stesso tempo.
9.64
A guisa d'uom che 'n dubbio si raccerta
9.65
e che muta in conforto sua paura,
9.66
poi che la verità li è discoperta,
9.67
mi cambia' io; e come sanza cura
9.68
vide me 'l duca mio, su per lo balzo
9.69
si mosse, e io di rietro inver' l'altura.
9.70
Lettor, tu vedi ben com'io innalzo
9.71
la mia matera, e però con più arte
9.72
non ti maravigliar s'io la rincalzo.
9.73
Noi ci appressammo, ed eravamo in parte,
ed eravamo in parte: in un luogo tale che, là dove prima mi sembrava che vi fosse un'interruzione (" rotto "), come una fenditura, che divida un muro, vidi una porta e, sotto, tre gradini per raggiungerla.
9.74
che là dove pareami prima rotto,
9.75
pur come un fesso che muro diparte,
9.76
vidi una porta, e tre gradi di sotto
9.77
per gire ad essa, di color diversi,
9.78
e un portier ch'ancor non facea motto.
9.79
E come l'occhio più e più v'apersi,
9.80
vidil seder sovra 'l grado sovrano,
'l grado sovrano: il gradino superiore.
9.81
tal ne la faccia ch'io non lo soffersi;
9.82
e una spada nuda avea in mano,
spada: simbolo della giustizia.
9.83
che reflettea i raggi sì ver' noi,
9.84
ch'io drizzava spesso il viso in vano.
9.85
«Dite costinci: che volete voi?»,
costinci: di costì, di dove vi trovate.
9.86
cominciò elli a dire, «ov'è la scorta?
9.87
Guardate che 'l venir sù non vi nòi».
non vi nòi: non vi nuoccia, non vi rechi danno.
9.88
«Donna del ciel, di queste cose accorta»,
9.89
rispuose 'l mio maestro a lui, «pur dianzi
9.90
ne disse: "Andate là: quivi è la porta"».
9.91
«Ed ella i passi vostri in bene avanzi»,
9.92
ricominciò il cortese portinaio:
il cortese portinaio: è l'angelo portiere del Purgatorio.
9.93
«Venite dunque a' nostri gradi innanzi».
9.94
Là ne venimmo; e lo scaglion primaio
lo scaglion primaio: la porta, in generale, simboleggia la penitenza. Il primo gradino rappresenta la contrizione, che lava il cuore dalla macchia del peccato; perciò è bianco come marmo. Il secondo gradino, di color scuro e quasi nero (cfr. Inf. c. V, 89) rappresenta la confessione, che svela le oscurità del cuore e con le fessure " attesta rotta la durezza del cuore "(Vandelli). Il terzo, color porfido, simile a sangue che sgorga, simboleggia la soddisfazione, mediante le opere, dei peccati confessati. La soglia di diamante rappresenta la solida base su cui poggia l'autorità della Chiesa.
9.95
bianco marmo era sì pulito e terso,
9.96
ch'io mi specchiai in esso qual io paio.
9.97
Era il secondo tinto più che perso,
9.98
d'una petrina ruvida e arsiccia,
9.99
crepata per lo lungo e per traverso.
9.100
Lo terzo, che di sopra s'ammassiccia,
9.101
porfido mi parea, sì fiammeggiante,
9.102
come sangue che fuor di vena spiccia.
9.103
Sovra questo tenea ambo le piante
9.104
l'angel di Dio, sedendo in su la soglia,
9.105
che mi sembiava pietra di diamante.
9.106
Per li tre gradi sù di buona voglia
9.107
mi trasse il duca mio, dicendo: «Chiedi
9.108
umilemente che 'l serrame scioglia».
9.109
Divoto mi gittai a' santi piedi;
9.110
misericordia chiesi e ch'el m'aprisse,
9.111
ma tre volte nel petto pria mi diedi.
9.112
Sette P ne la fronte mi descrisse
Sette P: simboleggiano i sette peccati mortali.
9.113
col punton de la spada, e «Fa che lavi,
9.114
quando se' dentro, queste piaghe», disse.
9.115
Cenere, o terra che secca si cavi,
9.116
d'un color fora col suo vestimento;
d'un color fora: sarebbe dello stesso colore: cioè color cenere qual'è quello " del sacco della penitenza " (Pietrobono).
9.117
e di sotto da quel trasse due chiavi.
due chiavi: sono le chiavi del regno dei cieli. Quella d'oro simboleggia l'autorità di assolvere, concessa al sacerdote, quella d'argento, la sapienza indispensabile per giudicare.
9.118
L'una era d'oro e l'altra era d'argento;
9.119
pria con la bianca e poscia con la gialla
9.120
fece a la porta sì, ch'i' fu' contento.
9.121
«Quandunque l'una d'este chiavi falla,
Quandunque: ogni volta che.
9.122
che non si volga dritta per la toppa»,
9.123
diss'elli a noi, «non s'apre questa calla.
9.124
Più cara è l'una; ma l'altra vuol troppa
Più cara è l'una: più preziosa è la chiave d'oro.
9.125
d'arte e d'ingegno avanti che diserri,
9.126
perch'ella è quella che 'l nodo digroppa.
digroppa: scioglie, dipana.
9.127
Da Pier le tegno; e dissemi ch'i' erri
Pier: San Pietro, che le ebbe da Cristo. Ed egli lo esortò ad errare piuttosto per eccesso d'indulgenza che per difetto, pur che la gente si mostrasse umile e pentita.
9.128
anzi ad aprir ch'a tenerla serrata,
9.129
pur che la gente a' piedi mi s'atterri».
9.130
Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
9.131
dicendo: «Intrate; ma facciovi accorti
9.132
che di fuor torna chi 'n dietro si guata».
9.133
E quando fuor ne' cardini distorti
9.134
li spigoli di quella regge sacra,
regge: porta; è parola arcaica.
9.135
che di metallo son sonanti e forti,
9.136
non rugghiò sì né si mostrò sì acra
sì acra: così dura ad aprirsi. " Tarpea " è il tempio capitolino, sulla rupe omonima, ov'era custodito il pubblico Tesoro, affidato alle cure del tribuno L. Cecilio Metello, che fu scacciato; per cui Cesare se ne impadronì, lasciando consunta (" macra ") la cassa dello stato.
9.137
Tarpea, come tolto le fu il buono
9.138
Metello, per che poi rimase macra.
9.139
Io mi rivolsi attento al primo tuono,
al primo tuono: è il " rugghio " emesso dalla porta nel girare sui cardini, che acquista un armonioso valore musicale.
9.140
e "Te Deum laudamus" mi parea
Te Deum: è l'inno di lode alla Trinità che nelle cerimonie liturgiche si si intona a Dio in segno di ringraziamento ed esultanza.
9.141
udire in voce mista al dolce suono.
9.142
Tale imagine a punto mi rendea
9.143
ciò ch'io udiva, qual prender si suole
9.144
quando a cantar con organi si stea;
si stea: si stia.
9.145
ch'or sì or no s'intendon le parole.
Purgatorio : Canto 10
10.1
Poi fummo dentro al soglio de la porta
10.2
che 'l mal amor de l'anime disusa,
che 'l mal amor: che il falso amore dei beni terreni rende poco frequentata (" disusa ").
10.3
perché fa parer dritta la via torta,
10.4
sonando la senti' esser richiusa;
10.5
e s'io avesse li occhi vòlti ad essa,
10.6
qual fora stata al fallo degna scusa?
10.7
Noi salavam per una pietra fessa,
10.8
che si moveva e d'una e d'altra parte,
si moveva: il cammino era tortuoso.
10.9
sì come l'onda che fugge e s'appressa.
10.10
«Qui si conviene usare un poco d'arte»,
10.11
cominciò 'l duca mio, «in accostarsi
10.12
or quinci, or quindi al lato che si parte».
che si parte: che si allontana, nei suoi meandri.
10.13
E questo fece i nostri passi scarsi,
10.14
tanto che pria lo scemo de la luna
lo scemo de la luna: la luna, mancante nella sua figura, perché è all'ultimo quarto, tocca l'orizzonte ove tramonta prima che i poeti siano fuori di quella strettoia (" cruna ").
10.15
rigiunse al letto suo per ricorcarsi,
10.16
che noi fossimo fuor di quella cruna;
10.17
ma quando fummo liberi e aperti
10.18
sù dove il monte in dietro si rauna,
10.19
io stancato e amendue incerti
10.20
di nostra via, restammo in su un piano
10.21
solingo più che strade per diserti.
10.22
Da la sua sponda, ove confina il vano,
ove confina il vano: ove, nella parte esterna, confina col vuoto.
10.23
al piè de l'alta ripa che pur sale,
10.24
misurrebbe in tre volte un corpo umano;
misurrebbe: misurerebbe tre volte l'altezza di un uomo.
10.25
e quanto l'occhio mio potea trar d'ale,
trar d'ale: raggiungere con lo sguardo.
10.26
or dal sinistro e or dal destro fianco,
10.27
questa cornice mi parea cotale.
cotale: della stessa larghezza.
10.28
Là sù non eran mossi i piè nostri anco,
10.29
quand'io conobbi quella ripa intorno
10.30
che dritto di salita aveva manco,
aveva manco: aveva minor scoscendimento per salire.
10.31
esser di marmo candido e addorno
10.32
d'intagli sì, che non pur Policleto,
non pur Policleto: non soltanto Policleto (scultore greco del V secolo a.C.), ma la stessa natura avrebbe sfigurato al confronto.
10.33
ma la natura lì avrebbe scorno.
10.34
L'angel che venne in terra col decreto
L'angel: è l'Arcangelo Gabriele, latore del decreto di Dio con cui si annunciava la pace agli uomini, cioè l'Annunciazione.
10.35
de la molt'anni lagrimata pace,
10.36
ch'aperse il ciel del suo lungo divieto,
10.37
dinanzi a noi pareva sì verace
10.38
quivi intagliato in un atto soave,
quivi intagliato: i bassorilievi marmorei della parete rappresentano esempi di umiltà.
10.39
che non sembiava imagine che tace.
10.40
Giurato si saria ch'el dicesse "Ave!";
10.41
perché iv'era imaginata quella
imaginata: raffigurata Maria, colei che aprì agli uomini l'amore di Dio.
10.42
ch'ad aprir l'alto amor volse la chiave;
10.43
e avea in atto impressa esta favella
10.44
"Ecce ancilla Dei", propriamente
Ecce ancilla Dei: è la risposta di Maria all'Arcangelo Gabriele.
10.45
come figura in cera si suggella.
10.46
«Non tener pur ad un loco la mente»,
10.47
disse 'l dolce maestro, che m'avea
10.48
c onde 'l cuore ha la gente.
da quella parte: a sinistra.
10.49
Per ch'i' mi mossi col viso, e vedea
10.50
di retro da Maria, da quella costa
di retro da Maria: oltre il bassorilievo raffigurante la Vergine, sulla destra.
10.51
onde m'era colui che mi movea,
10.52
un'altra storia ne la roccia imposta;
10.53
per ch'io varcai Virgilio, e fe'mi presso,
10.54
acciò che fosse a li occhi miei disposta.
disposta: ben visibile.
10.55
Era intagliato lì nel marmo stesso
10.56
lo carro e ' buoi, traendo l'arca santa,
l'arca santa: l'Arca contenente le tavole della legge.
10.57
per che si teme officio non commesso.
officio non commesso: incarico non espressamente ricevuto. Allude ad Oza, conducente del carro, il quale fu fulminato per essere accorso a sostenere l'arca traballante, che poteva essere toccata soltanto dai sacerdoti.
10.58
Dinanzi parea gente; e tutta quanta,
parea: appariva.
10.59
partita in sette cori, a' due mie' sensi
a' due mie' sensi: all'udito faceva negare e alla vista affermare che la gente cantasse.
10.60
faceva dir l'un «No», l'altro «Sì, canta».
10.61
Similemente al fummo de li 'ncensi
10.62
che v'era imaginato, li occhi e 'l naso
10.63
e al sì e al no discordi fensi.
fensi: si fecero.
10.64
Lì precedeva al benedetto vaso,
al benedetto vaso: all'arca santa, detta vaso, in quanto conteneva le tavole della legge.
10.65
trescando alzato, l'umile salmista,
l'umile salmista: è il re David, di cui si legge (cfr. Libro II dei Re, VI, I e segg.) che, facendo trasportare l'arca dalla casa di Abinadab a Gerusalemme, non esitò a danzare con le vesti rialzate (" trescando alzato ") in onore di Dio, trovandosi ad essere in quella circostanza più che re, perché il suo atteggiamento umile lo esaltava agli occhi di Dio, e men che re, in quanto agli occhi del popolo poteva apparire sminuita la sua dignità regale.
10.66
e più e men che re era in quel caso.
10.67
Di contra, effigiata ad una vista
ad una vista: ad una finestra (cfr. Inf. c. X, 52).
10.68
d'un gran palazzo, Micòl ammirava
Micòl: figlia dl Saul e moglie di Davide. Guardava meravigliata (" ammirava ") sprezzante e disapprovando (" dispettosa e trista ").
10.69
sì come donna dispettosa e trista.
10.70
I' mossi i piè del loco dov'io stava,
10.71
per avvisar da presso un'altra istoria,
10.72
che di dietro a Micòl mi biancheggiava.
10.73
Quiv'era storiata l'alta gloria
10.74
del roman principato, il cui valore
principato: principe. E' Traiano, la cui virtù spinse il pontefice S. Gregorio I a pregare per lui, ottenendo che l'anima, dopo una miracolosa conversione, salisse al cielo (cfr. Par. XX, 44, segg.,e 106 segg).
Purgatorio : Canto 410
410.75
mosse Gregorio a la sua gran vittoria;
Purgatorio : Canto 10
10.76
i' dico di Traiano imperadore;
10.77
e una vedovella li era al freno,
al freno: presso il cavallo, all'altezza del morso.
10.78
di lagrime atteggiata e di dolore.
10.79
Intorno a lui parea calcato e pieno
10.80
di cavalieri, e l'aguglie ne l'oro
10.81
sovr'essi in vista al vento si movieno.
10.82
La miserella intra tutti costoro
10.83
pareva dir: «Segnor, fammi vendetta
fammi vendetta: la storia, assai diffusa nel Medioevo (cfr. anche il "Novellino"), narra di una vedova che chiede giustizia (" vendetta ") a Traiano in favore del figliolo ucciso. Le linee tradizionali del dialogo sono quelle riferite da Dante.
10.84
di mio figliuol ch'è morto, ond'io m'accoro»;
10.85
ed elli a lei rispondere: «Or aspetta
10.86
tanto ch'i' torni»; e quella: «Segnor mio»,
10.87
come persona in cui dolor s'affretta,
10.88
«se tu non torni?»; ed ei: «Chi fia dov'io,
Chi fia: chi sarà al mio posto ( " dov'io " ).
10.89
la ti farà»; ed ella: «L'altrui bene
L'altrui bene: il bene fatto da altri, che sarà ( "fia" ) per te, cioè a cosa ti potrà giovare, se dimentichi quello che dovresti compiere proprio tu?.
10.90
a te che fia, se 'l tuo metti in oblio?»;
10.91
ond'elli: «Or ti conforta; ch'ei convene
10.92
ch'i' solva il mio dovere anzi ch'i' mova:
10.93
giustizia vuole e pietà mi ritene».
10.94
Colui che mai non vide cosa nova
Colui: Dio scolpì questo parlante bassorilievo, di un genere di cui noi non abbiamo esperienza.
10.95
produsse esto visibile parlare,
10.96
novello a noi perché qui non si trova.
10.97
Mentr'io mi dilettava di guardare
10.98
l'imagini di tante umilitadi,
10.99
e per lo fabbro loro a veder care,
10.100
«Ecco di qua, ma fanno i passi radi»,
10.101
mormorava il poeta, «molte genti:
10.102
questi ne 'nvieranno a li alti gradi».
10.103
Li occhi miei ch'a mirare eran contenti
contenti: perché godevano nell'ammirare le figure.
10.104
per veder novitadi ond'e' son vaghi,
10.105
volgendosi ver' lui non furon lenti.
10.106
Non vo' però, lettor, che tu ti smaghi
ti smaghi: ti distolga da.
10.107
di buon proponimento per udire
10.108
come Dio vuol che 'l debito si paghi.
10.109
Non attender la forma del martìre:
Non attender: non badare alla qualità (" forma ") della pena (" martìre "), ma a ciò che vien dopo (" la succession "): cioè che l'espiazione non può andare oltre il giorno del giudizio (" la gran sentenza " ).
10.110
pensa la succession; pensa ch'al peggio,
10.111
oltre la gran sentenza non può ire.
10.112
Io cominciai: «Maestro, quel ch'io veggio
10.113
muovere a noi, non mi sembian persone,
10.114
e non so che, sì nel veder vaneggio».
10.115
Ed elli a me: «La grave condizione
10.116
di lor tormento a terra li rannicchia,
10.117
sì che ' miei occhi pria n'ebber tencione.
n'ebber tencione: furono anch'essi combattuti dall'incertezza.
10.118
Ma guarda fiso là, e disviticchia
e disviticchia: prova a discenere.
10.119
col viso quel che vien sotto a quei sassi:
10.120
già scorger puoi come ciascun si picchia».
10.121
O superbi cristian, miseri lassi,
10.122
che, de la vista de la mente infermi,
infermi: ciechi di mente, vi fidate dei vostri gesti superbi, che sono come passi a ritroso.
10.123
fidanza avete ne' retrosi passi,
10.124
non v'accorgete voi che noi siam vermi
10.125
nati a formar l'angelica farfalla,
10.126
che vola a la giustizia sanza schermi?
sanza schermi: senza difesa e senza scuse.
10.127
Di che l'animo vostro in alto galla,
galla: galleggia, cioè insuperbisce; poiché siete come insetti (" antomata ", grecismo corrotto da un originario " automata ", indicherebbe quegli animali inferiori non generati ma prodotti da putrefazione di una qualsiasi sostanza organica) incompleti, come un bruco al quale venga a mancare la trasformazione in farfalla.
10.128
poi siete quasi antomata in difetto,
10.129
sì come vermo in cui formazion falla?
10.130
Come per sostentar solaio o tetto,
10.131
per mensola talvolta una figura
una figura: una cariatide o un telamone.
10.132
si vede giugner le ginocchia al petto,
10.133
la qual fa del non ver vera rancura
la qual: che suscita una vera pena ("rancura") del non vero, ma effigiato dolore.
10.134
nascere 'n chi la vede; così fatti
10.135
vid'io color, quando puosi ben cura.
10.136
Vero è che più e meno eran contratti
10.137
secondo ch'avien più e meno a dosso;
più e meno: un peso maggiore o minore.
10.138
e qual più pazienza avea ne li atti,
e qual: e quello che sembrava sopportare con maggior tolleranza il suo peso, sembrava dire: non ne posso più.
10.139
piangendo parea dicer: "Più non posso".
Purgatorio : Canto 11
11.1
«O Padre nostro, che ne' cieli stai,
11.2
non circunscritto, ma per più amore
non circunscritto: non chiuso entro limiti di spazio, ma per il più vivo amore che tu porti alle prime creature (" effetti ").
11.3
ch'ai primi effetti di là sù tu hai,
11.4
laudato sia 'l tuo nome e 'l tuo valore
11.5
da ogni creatura, com'è degno
11.6
di render grazie al tuo dolce vapore.
vapore: lo Spirito Santo.
11.7
Vegna ver' noi la pace del tuo regno,
11.8
ché noi ad essa non potem da noi,
non potem: non possiamo raggiungerla.
11.9
s'ella non vien, con tutto nostro ingegno.
11.10
Come del suo voler li angeli tuoi
Come del suo voler: come gli angeli fanno sacrificio del proprio volere… cosi facciano gli uomini del loro, cioè sia fatta la tua volontà.
11.11
fan sacrificio a te, cantando osanna,
osanna: voce ebraica che esprime salutevole esultanza.
11.12
così facciano li uomini de' suoi.
11.13
Dà oggi a noi la cotidiana manna,
manna: è il pane quotidiano. Manna ricorda il cibo inviato da Dio agli Ebrei nel deserto.
11.14
sanza la qual per questo aspro diserto
11.15
a retro va chi più di gir s'affanna.
11.16
E come noi lo mal ch'avem sofferto
11.17
perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
e tu: anche tu perdona, senza valutare il nostro merito.
11.18
benigno, e non guardar lo nostro merto.
11.19
Nostra virtù che di legger s'adona,
s'adona: si fiacca (cfr. Inf. c. VI, 34).
11.20
non spermentar con l'antico avversaro,
l'antico avversaro: il demonio (cfr. c. VIII, 95 e Inf. c. XXII, 45).
11.21
ma libera da lui che sì la sprona.
11.22
Quest'ultima preghiera, segnor caro,
Quest'ultima preghiera: l'ultima parte del Pater Noster viene recitata dagli spiriti purganti per i vivi.
11.23
già non si fa per noi, ché non bisogna,
11.24
ma per color che dietro a noi restaro».
11.25
Così a sé e noi buona ramogna
ramogna: augurio.
11.26
quell'ombre orando, andavan sotto 'l pondo,
'l pondo: il peso.
11.27
simile a quel che tal volta si sogna,
11.28
disparmente angosciate tutte a tondo
disparmente: non tutte allo stesso modo.
11.29
e lasse su per la prima cornice,
11.30
purgando la caligine del mondo.
11.31
Se di là sempre ben per noi si dice,
11.32
di qua che dire e far per lor si puote
11.33
da quei ch'hanno al voler buona radice?
buona radice: ben radicato è il voler suffragare i purganti, nelle anime che vivono in grazia di Dio.
11.34
Ben si de' loro atar lavar le note
atar: aiutare a " lavar " le macchie ( " note " ) del peccato.
11.35
che portar quinci, sì che, mondi e lievi,
11.36
possano uscire a le stellate ruote.
le stellate ruote: i cieli rotanti.
11.37
«Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi
vi disgrievi: possa liberarvi dal peso.
11.38
tosto, sì che possiate muover l'ala,
11.39
che secondo il disio vostro vi lievi,
vi lievi: vi innalzi.
11.40
mostrate da qual mano inver' la scala
11.41
si va più corto; e se c'è più d'un varco,
11.42
quel ne 'nsegnate che men erto cala;
men erto: meno ripido.
11.43
ché questi che vien meco, per lo 'ncarco
11.44
de la carne d'Adamo onde si veste,
11.45
al montar sù, contra sua voglia, è parco».
è parco: è lento.
11.46
Le lor parole, che rendero a queste
11.47
che dette avea colui cu' io seguiva,
11.48
non fur da cui venisser manifeste;
11.49
ma fu detto: «A man destra per la riva
per la riva: lungo il girone.
11.50
con noi venite, e troverete il passo
11.51
possibile a salir persona viva.
11.52
E s'io non fossi impedito dal sasso
11.53
che la cervice mia superba doma,
11.54
onde portar convienmi il viso basso,
11.55
cotesti, ch'ancor vive e non si noma,
e non si noma: e non dichiara il suo nome.
11.56
guardere' io, per veder s'i' 'l conosco,
11.57
e per farlo pietoso a questa soma.
11.58
Io fui c e nato d'un gran Tosco:
latino: nel consueto significato di "italiano".
11.59
Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre;
11.60
non so se 'l nome suo già mai fu vosco.
vosco: con voi, cioè a voi noto.
11.61
L'antico sangue e l'opere leggiadre
11.62
d'i miei maggior mi fer sì arrogante,
11.63
che, non pensando a la comune madre,
a la comune madre: la terra, cui tutti si deve tornare, perché siamo polvere impastata della sua polvere.
11.64
ogn'uomo ebbi in despetto tanto avante,
11.65
ch'io ne mori', come i Sanesi sanno
i Sanesi sanno: il peccatore che parla è Omberto Aldobrandesco, signore di Campagnatico e conte di Santafiora. Fu acerrimo nemico del comune di Siena, del quale nel 1227 rimase prigioniero per sei mesi; e contro i Senesi morì in combattimento, forse nel 1257; come in Campagnatico è noto ad ogni essere parlante ( "fante ", participio del verbo lat. fari).
11.66
e sallo in Campagnatico ogne fante.
11.67
Io sono Omberto; e non pur a me danno
11.68
superbia fa, ché tutti miei consorti
consorti: consanguinei, parenti (cfr. Inf. c. XXIX, 33).
11.69
ha ella tratti seco nel malanno.
11.70
E qui convien ch'io questo peso porti
11.71
per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia,
per lei: a causa della superbia.
11.72
poi ch'io nol fe' tra ' vivi, qui tra ' morti».
11.73
Ascoltando chinai in giù la faccia;
11.74
e un di lor, non questi che parlava,
11.75
si torse sotto il peso che li 'mpaccia,
11.76
e videmi e conobbemi e chiamava,
11.77
tenendo li occhi con fatica fisi
11.78
a me che tutto chin con loro andava.
tutto chin: Dante si adegua al curvo procedere dei peccatori.
11.79
«Oh!», diss'io lui, «non se' tu Oderisi,
Oderisi: è Oderisi da Gubbio (" Agobbio "), celebre miniaturista del sec. XIII (morì a Roma intorno al 1299).
11.80
l'onor d'Agobbio e l'onor di quell'arte
11.81
ch'alluminar chiamata è in Parisi?».
ch'alluminar: l'arte del miniare, che in Parigi chiamano illuminare ("enluminer"), poiché il libro risulta come illuminato dal minio (secondo che afferma Salimbene).
11.82
«Frate», diss'elli, «più ridon le carte
più ridon: più luminose sono le pagine che, con sicuri tratti di pennello, minia Franco Bolognese, pittore e miniaturista vissuto tra il sec. XIII e il XIV; le opere a lui ascritte dalle "Vite" del Vasari sembrano irrimediabilmente perdute.
11.83
che pennelleggia Franco Bolognese;
11.84
l'onore è tutto or suo, e mio in parte.
11.85
Ben non sare' io stato sì cortese
11.86
mentre ch'io vissi, per lo gran disio
11.87
de l'eccellenza ove mio core intese.
intese: fu rivolto.
11.88
Di tal superbia qui si paga il fio;
11.89
e ancor non sarei qui, se non fosse
se non fosse…: se non fosse che mi volsi a Dio quando ancora potevo peccare, cioè quando ero ancor vivo.
11.90
che, possendo peccar, mi volsi a Dio.
11.91
Oh vana gloria de l'umane posse!
11.92
com'poco verde in su la cima dura,
11.93
se non è giunta da l'etati grosse!
se non è giunta: se non è raggiunta, cioè seguita, da età di decadenza (" grosse ": grossolane).
11.94
Credette Cimabue ne la pittura
Cimabue: Giovanni o Cenni di Pepo, detto Cimabue, eccellente pittore fiorentino (1240 circa-1302 circa) fu maestro di Giotto, figlio di Bondone dal Colle, il più significativo pittore dell'età sua (nato a Vespignano presso Firenze, 1266-1337 circa).
11.95
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
11.96
sì che la fama di colui è scura:
11.97
così ha tolto l'uno a l'altro Guido
l'uno a l'altro Guido: Guido Cavalcanti ha superato Guido Guinuizzelli. Qualcuno ha voluto vedere in colui che " l'uno a l'altro …caccerà del nido " una larvata allusione a Dante stesso.
11.98
la gloria de la lingua; e forse è nato
11.99
chi l'uno e l'altro caccerà del nido.
11.100
Non è il mondan romore altro ch'un fiato
il mondan romore: la fama.
11.101
di vento, ch'or vien quinci e or vien quindi,
11.102
e muta nome perché muta lato.
11.103
Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
Che voce: qual ricordo nella fama.
11.104
da te la carne, che se fossi morto
11.105
anzi che tu lasciassi il "pappo" e 'l "dindi",
il "pappo" e 'l "dindi": voci infantili. Cioè: cosa rimarrà di te, morto in tarda età, più che se fossi morto ancor bambino, prima che passino mille anni? Periodo (" spazio ") che in confronto all'eternità è più breve di quanto un batter di ciglia sia in confronto al moto del cielo stellato. ( " cerchio "), che, più lento degli altri cieli, è tratto a girare (" è torto ") in una rivoluzione che dura 360 secoli.
11.106
pria che passin mill'anni? ch'è più corto
11.107
spazio a l'etterno, ch'un muover di ciglia
11.108
al cerchio che più tardi in cielo è torto.
11.109
Colui che del cammin sì poco piglia
sì poco piglia: avanza così lentamente.
11.110
dinanzi a me, Toscana sonò tutta;
Toscana sonò tutto: l'intera Toscana risonò del suo nome.
11.111
e ora a pena in Siena sen pispiglia,
in Siena : città di cui " era sire ".
11.112
ond'era sire quando fu distrutta
quando fu distrutta: quando a Montaperti (1260) fu distrutto l'orgoglio dei Fiorentini, che allora andava superbo della potenza cittadina, così come ora è pronto a prostituirsi (" putta ") cfr. Inf. c. XIII,.
11.113
la rabbia fiorentina, che superba
11.114
fu a quel tempo sì com'ora è putta.
11.115
La vostra nominanza è color d'erba,
11.116
che viene e va, e quei la discolora
e quei: e il sole la dissecca, il sole per cui mezzo spunta dal terreno. Cioè il sole dissecca le piante e il tempo la fama.
11.117
per cui ella esce de la terra acerba».
11.118
E io a lui: «Tuo vero dir m'incora
m'incora: m'infonde nel cuore.
11.119
bona umiltà, e gran tumor m'appiani;
tumor: la gonfiezza della superbia.
11.120
ma chi è quei di cui tu parlavi ora?».
11.121
«Quelli è», rispuose, «Provenzan Salvani;
Provenzan Salvani: fu a capo del governo senese quando i Guelfi fiorentini furono sconfitti a Montaperti e, al Concilio d'Empoli, sostenne la tesi di " tòrre via Fiorenza "(cfr. Inf. c. X, 92). Mori nel 1269 durante la battaglia di Colle Valdelsa, in cui i Fiorentini vinsero i Senesi, ed ebbe il capo mozzato.
11.122
ed è qui perché fu presuntuoso
11.123
a recar Siena tutta a le sue mani.
11.124
Ito è così e va, sanza riposo,
11.125
poi che morì; cotal moneta rende
cotal moneta: questo è il prezzo che paga per soddisfare la divina giustizia chi nel mondo (" di là ") troppo ha osato.
11.126
a sodisfar chi è di là troppo oso».
11.127
E io: «Se quello spirito ch'attende,
Se quello spirito: se lo spirito che attende l'ultimo momento della vita prima di pentirsi, si trova nell'Antipurgatorio (" giù ") e non sale in Purgatorio (" qua sù ") a meno che le altrui preghiere non lo suffraghino, prima che passi tanto tempo quanto visse, come a costui fu concessa " largita ") la venuta?.
11.128
pria che si penta, l'orlo de la vita,
11.129
qua giù dimora e qua sù non ascende,
11.130
se buona orazion lui non aita,
11.131
prima che passi tempo quanto visse,
11.132
come fu la venuta lui largita?».
11.133
«Quando vivea più glorioso», disse,
11.134
«liberamente nel Campo di Siena,
11.135
ogne vergogna diposta, s'affisse;
s'affisse: si piantò nella piazza del campo, a Siena, e senz'alcuna vergogna, come un mendicante, si adoperò per raccogliere la somma necessaria a riscattare un suo amico prigioniero di Carlo d'Angiò.
11.136
e lì, per trar l'amico suo di pena
11.137
ch'e' sostenea ne la prigion di Carlo,
11.138
si condusse a tremar per ogne vena.
11.139
Più non dirò, e scuro so che parlo;
11.140
ma poco tempo andrà, che ' tuoi vicini
11.141
faranno sì che tu potrai chiosarlo.
faranno sì: faranno in modo, cacciandoti in esilio, che tu possa comprendere meglio il suo gesto (" chiosarlo "), valendoti della tua personale esperienza.
11.142
Quest'opera li tolse quei confini».
Purgatorio : Canto 12
12.1
Di pari, come buoi che vanno a giogo,
12.2
m'andava io con quell'anima carca,
12.3
fin che 'l sofferse il dolce pedagogo.
fin che: finché lo permise il dolce maestro (" pedagogo "), cioè Virgilio.
12.4
Ma quando disse: «Lascia lui e varca;
varca: vai oltre.
12.5
ché qui è buono con l'ali e coi remi,
12.6
quantunque può, ciascun pinger sua barca»;
12.7
dritto sì come andar vuolsi rife'mi
sì come andar vuolsi: come si conviene camminare per nostra natura, mi rifeci (" rife'mi ") eretto sulla persona. Dante andava curvo (cfr. c. XI, 78).
12.8
con la persona, avvegna che i pensieri
12.9
mi rimanessero e chinati e scemi.
e chinati: umili e sgombri dal sentimento di superbia ( "scemi" ).
12.10
Io m'era mosso, e seguia volontieri
12.11
del mio maestro i passi, e amendue
12.12
già mostravam com'eravam leggeri;
12.13
ed el mi disse: «Volgi li occhi in giùe:
12.14
buon ti sarà, per tranquillar la via,
per tranquillar la via: per rendere meno disagevole il cammino, osserva il pavimento sul quale poggiano i tuoi piedi; ci sono istoriati esempi di superbia punita.
12.15
veder lo letto de le piante tue».
12.16
Come, perché di lor memoria sia,
12.17
sovra i sepolti le tombe terragne
terragne: sono le tombe sotterranee, il cui coperchio è a livello del suolo, frequenti nelle chiese e in altri luoghi sacri.
12.18
portan segnato quel ch'elli eran pria,
12.19
onde lì molte volte si ripiagne
12.20
per la puntura de la rimembranza,
12.21
che solo a' pii dà de le calcagne;
che solo a' pii: che sprona (" dà de le calcagne ") solamente gli animi pietosi.
12.22
sì vid'io lì, ma di miglior sembianza
12.23
secondo l'artificio, figurato
12.24
quanto per via di fuor del monte avanza.
quanto per via: quanto rimane (" avanza ") al di fuori del monte lungo il percorso del girone (" per via ").
12.25
Vedea colui che fu nobil creato
12.26
più ch'altra creatura , giù dal cielo
12.27
folgoreggiando scender da un lato
12.28
Vedea Briareo, fitto dal telo
Briareo: cfr. Inf. c. XXXI, 88 e n.
12.29
celestial, giacer da l'altra parte
12.30
grave a la terra per lo mortal gelo.
grave: gigantesco e disteso a terre nel " gelo " della morte.
12.31
Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte,
Timbreo: Apollo, così detto dalla città di Timbra, nella Troade, ove sorgeva un suo tempio, particolarmente venerato. Pallade è Minerva e con Made e Apollo si trova a lato di Giove (" padre loro ") meravigliando delle smisurate membra dei Giganti, uccisi alla battaglia di Flegra.
12.32
armati ancora, intorno al padre loro,
12.33
mirar le membra de' Giganti sparte.
12.34
Vedea Nembròt a piè del gran lavoro
Nembròt: cfr. Inf. c. XXXI, 77 e n.
12.35
quasi smarrito, e riguardar le genti
12.36
che in Sennaàr con lui superbi fuoro.
Sennaàr: la pianura ove fu innalzata la torre di Babele.
12.37
O Niobè, con che occhi dolenti
Niobè: Niobe, figlia di Tantalo e moglie di Anfione, re di Tebe; superba della sua numerosa prole (sette maschi e sette femmine), osò chiedere ai Tebani, per sè, i sacrifici che essi dedicavano a Latona, madre di Apollo e di Diana soltanto. Per punirla, quegli dei le uccisero tutti i figli e Niobe rimase impietrita dal dolore.
12.38
vedea io te segnata in su la strada,
12.39
tra sette e sette tuoi figliuoli spenti!
12.40
O Saùl, come su la propria spada
Saùl: re d'Israele; trascurati per superbia i consigli divini, fu sconfitto dai Filistei sui monti di Ghelboa, per cui si uccise, gettandosi sulla propria spada. I monti di Ghelboa, maledetti da David, non conobbero più né pioggia né rugiada.
12.41
quivi parevi morto in Gelboè,
12.42
che poi non sentì pioggia né rugiada!
12.43
O folle Aragne, sì vedea io te
Aragne: cfr. Inf. c. XVII, 18 e n.
12.44
già mezza ragna, trista in su li stracci
12.45
de l'opera che mal per te si fé.
12.46
O Roboàm, già non par che minacci
Roboàm: Roboamo, figlio di Salomone, promise altezzosamente agli Ebrei un governo ancor più rigido di quello paterno. Fu costretto a fuggire e in tale atto, sul carro, pieno di spavento, lo ritrae il bassorilievo.
12.47
quivi 'l tuo segno; ma pien di spavento
12.48
nel porta un carro, sanza ch'altri il cacci.
12.49
Mostrava ancor lo duro pavimento
12.50
come Almeon a sua madre fé caro
come Almeon: Erifile, moglie di Anfiarao (cfr. Inf. c. XX, 34), in cambio della collana (fatta da Vulcano, e da Venere, donata alla moglie di Cadmo, Armonia) sempre apportatrice di sciagure a chi la possedette, svelò a Polinice, che le offriva il gioiello, il nascondiglio del marito. Così Anfiarao fu scovato e condotto alla guerra dei sette contro Tebe, in cui morì, com'egli aveva previsto. Almeone, figlio di Anfiarao e di Erifile, vendicò quella morte, uccidendo la madre che così pagò " caro " quella collana da lei accettata per ambiziosa superbia.
12.51
parer lo sventurato addornamento.
12.52
Mostrava come i figli si gittaro
12.53
sovra Sennacherìb dentro dal tempio,
Sennacherìb : re assiro, superbo spregiatore della fede che Ezechia aveva nel dio d'Israele, fu ucciso dai propri figli mentre pregava nel Tempio.
12.54
e come, morto lui, quivi il lasciaro.
12.55
Mostrava la ruina e 'l crudo scempio
12.56
che fé Tamiri, quando disse a Ciro:
Tamiri: regina degli Sciti, distrusse l'esercito persiano e, fatto tagliare al cadavere di Ciro il capo, gettò questo in un otre pieno di sangue umano, accompagnando il gesto con le parole: "Hai sempre avuto sete (" sitisti ") di sangue e io" ecc.
12.57
«Sangue sitisti, e io di sangue t'empio».
12.58
Mostrava come in rotta si fuggiro
12.59
li Assiri, poi che fu morto Oloferne,
Oloferne: generale del re assiro Nabucodonosor; malgrado la sua superbia, si lasciò irretire dalle grazie di Giuditta, che lo decapitò nel sonno, liberando così dall'assedio la città di Betulia, in Giudea.
12.60
e anche le reliquie del martìro.
reliquie del martìro: il corpo scempiato di Olofeme.
12.61
Vedeva Troia in cenere e in caverne;
12.62
o Iliòn, come te basso e vile
o Iliòn: la rocca di Troia, la famosa città dell'Asia minore.
12.63
mostrava il segno che lì si discerne!
il segno: la scultura (cfr. lat. signum).
12.64
Qual di pennel fu maestro o di stile
di stile: di disegno (" stile " è la verghetta di piombo e stagno usata per disegnare).
12.65
che ritraesse l'ombre e ' tratti ch'ivi
12.66
mirar farieno uno ingegno sottile?
12.67
Morti li morti e i vivi parean vivi:
12.68
non vide mei di me chi vide il vero,
non vide: non vide meglio (" mei ") di me, chi vide, in realtà, l'avvenimento che quei bassorilievi ritraevano. Allude ai testimoni di quegli avvenimenti.
12.69
quant'io calcai, fin che chinato givi.
12.70
Or superbite, e via col viso altero,
12.71
figliuoli d'Eva, e non chinate il volto
12.72
sì che veggiate il vostro mal sentero!
12.73
Più era già per noi del monte vòlto
Più…: da parte nostra, era stata già percorsa di quella via circolare e trascorsa ( " speso " ) del giorno ( " del cammin del sole ") una parte maggiore di quella che potesse credere l'animo preso (" non sciolto ") da tante immagini raffigurate.
12.74
e del cammin del sole assai più speso
12.75
che non stimava l'animo non sciolto,
12.76
quando colui che sempre innanzi atteso
12.77
andava, cominciò: «Drizza la testa;
12.78
non è più tempo di gir sì sospeso.
sospeso: assorto.
12.79
Vedi colà un angel che s'appresta
12.80
per venir verso noi; vedi che torna
12.81
dal servigio del dì l'ancella sesta.
l'ancella sesta: la sesta ora del giorno, cioè il mezzogiorno, che torna dal " servigio " in quanto è già passata.
12.82
Di reverenza il viso e li atti addorna,
12.83
sì che i diletti lo 'nviarci in suso;
i diletti: gli piaccia; s'intende all'Angelo.
12.84
pensa che questo dì mai non raggiorna!».
non raggorna: non torna a sorgere.
12.85
Io era ben del suo ammonir uso
12.86
pur di non perder tempo, sì che 'n quella
12.87
materia non potea parlarmi chiuso.
12.88
A noi venìa la creatura bella,
12.89
biancovestito e ne la faccia quale
12.90
par tremolando mattutina stella.
12.91
Le braccia aperse, e indi aperse l'ale;
12.92
disse: «Venite: qui son presso i gradi,
i gradi: i gradini che conducono al secondo girone.
12.93
e agevolemente omai si sale.
agevolemente: perché un peccato è stato già scontato e per la natura stessa del Purgatorio, che " quant'om più va sù, e men fa male " (cfr. c. IV, 90).
12.94
A questo invito vegnon molto radi:
12.95
o gente umana, per volar sù nata,
12.96
perché a poco vento così cadi?».
12.97
Menocci ove la roccia era tagliata;
12.98
quivi mi batté l'ali per la fronte;
batté l'ali: con un colpo d'ali è cancellata la prima P.
12.99
poi mi promise sicura l'andata.
12.100
Come a man destra, per salire al monte
Come a man destra: come sul lato destro di chi salga al monte (ora chiamato Monte alle Croci), ove sorge la chiesa di San Miniato, che domina la ben governata Firenze (" la ben guidata " è detto ironicamente) sopra il ponte alle Grazie (detto " Rubaconte " dal nome del podestà che ne pose la prima pietra nel 1237), si rompe la ripidità della salita (" del montar l'ardita foga ") per mezzo di scalee che furono fatte in un tempo (" ad etade ") in cui non si falsificavano gli atti pubblici e i paesi. Il " quaderno " allude alle baratterie del priore Nicola Acciaiuoli (agosto-ottobre 1299) e ai falsi operati nei registri pubblici. La " doga " ricorda la truffa di Donato Chiaramontesi, camerlengo alla distribuzione del sale, il quale, quando riceveva la merce dal comune, usava uno staio e, quando la distribuiva al popolo, usava uno staio più piccolo, mancante di una doga.
12.101
dove siede la chiesa che soggioga
12.102
la ben guidata sopra Rubaconte,
12.103
si rompe del montar l'ardita foga
12.104
per le scalee che si fero ad etade
12.105
ch'era sicuro il quaderno e la doga;
12.106
così s'allenta la ripa che cade
così s'allenta: in questo modo si riduce lo scoscendimento che scende ripido dal secondo al primo girone; ma da una parte e dall'altra (" quinci e quindi ") l'alta parete di pietra sfiora (" rade ") chi sale.
12.107
quivi ben ratta da l'altro girone;
12.108
ma quinci e quindi l'alta pietra rade.
12.109
Noi volgendo ivi le nostre persone,
12.110
"Beati pauperes spiritu!" voci
Beati pauperes spiritu: è il testo della prima delle beatitudini, predicate da Cristo nel discorso della montagna (Matteo V,3).
12.111
cantaron sì, che nol diria sermone.
12.112
Ahi quanto son diverse quelle foci
foci: passaggi.
12.113
da l'infernali! ché quivi per canti
12.114
s'entra, e là giù per lamenti feroci.
12.115
Già montavam su per li scaglion santi,
12.116
ed esser mi parea troppo più lieve
12.117
che per lo pian non mi parea davanti.
davanti: prima.
12.118
Ond'io: «Maestro, dì, qual cosa greve
12.119
levata s'è da me, che nulla quasi
12.120
per me fatica, andando, si riceve?».
12.121
Rispuose: «Quando i P che son rimasi
12.122
ancor nel volto tuo presso che stinti,
presso che stinti: cancellata la P della superbia anche gli altri peccati appaiono sbiaditi, perché la superbia è alla radice di ogni peccato, da Adamo in poi.
12.123
saranno, com'è l'un, del tutto rasi,
12.124
fier li tuoi piè dal buon voler sì vinti,
12.125
che non pur non fatica sentiranno,
12.126
ma fia diletto loro esser sù pinti».
12.127
Allor fec'io come color che vanno
12.128
con cosa in capo non da lor saputa,
12.129
se non che ' cenni altrui sospecciar fanno;
se non che: se non per i cenni altrui, che lo mettono in sospetto.
12.130
per che la mano ad accertar s'aiuta,
12.131
e cerca e truova e quello officio adempie
12.132
che non si può fornir per la veduta;
scempie: aperte e separate.
12.133
e con le dita de la destra scempie
12.134
trovai pur sei le lettere che 'ncise
12.135
quel da le chiavi a me sovra le tempie:
quel da le chiavi: l'angelo portiere.
12.136
a che guardando, il mio duca sorrise.
Purgatorio : Canto 13
13.1
Noi eravamo al sommo de la scala,
13.2
dove secondamente si risega
secondamente si risega: per la seconda volta è tagliato da un ripiano il monte che purifica dal male (" altrui dismala " ).
13.3
lo monte che salendo altrui dismala.
13.4
Ivi così una cornice lega
una cornice: è il secondo girone del Purgatorio.
13.5
dintorno il poggio, come la primaia;
13.6
se non che l'arco suo più tosto piega.
l'arco suo: la sua curvatura è più accentuata, cioè il raggio è minore.
13.7
Ombra non lì è né segno che si paia:
Ombra: né anime né figurazioni (" segno ") che siano visibili.
13.8
parsi la ripa e parsi la via schietta
parsi: appare.
13.9
col livido color de la petraia.
13.10
«Se qui per dimandar gente s'aspetta»,
13.11
ragionava il poeta, «io temo forse
13.12
che troppo avrà d'indugio nostra eletta».
eletta: la scelta della strada da seguire.
13.13
Poi fisamente al sole li occhi porse;
13.14
fece del destro lato a muover centro,
13.15
e la sinistra parte di sé torse.
torse: si volse verso destra, cioè verso il sole, che è da quella parte, dopo il mezzogiorno, nell'emisfero australe.
13.16
«O dolce lume a cui fidanza i' entro
a cui fidanza: in cui fidando.
13.17
per lo novo cammin, tu ne conduci»,
13.18
dicea, «come condur si vuol quinc'entro.
13.19
Tu scaldi il mondo, tu sovr'esso luci;
13.20
s'altra ragione in contrario non ponta,
non ponta: non ci spinge a seguire altra via.
13.21
esser dien sempre li tuoi raggi duci».
13.22
Quanto di qua per un migliaio si conta,
un migliaio: un miglio (cfr. lat. miliariun). Metricamente " migliaio " va considerato bisillabo, con desinenza in ai. Così pure in Inf. c. VI, 79, Purg. c. XIV, 66 e passim.
13.23
tanto di là eravam noi già iti,
13.24
con poco tempo, per la voglia pronta;
13.25
e verso noi volar furon sentiti,
e: quando.
13.26
non però visti, spiriti parlando
spiriti: sono invisibili voci che esaltano esempi di carità.
13.27
a la mensa d'amor cortesi inviti.
13.28
La prima voce che passò volando
13.29
"Vinum non habent" altamente disse,
Vinum non habent: non hanno vino; ricorda l'episodio delle nozze di Cana, quando, in seguito all'osservazione della Vergine, Gesù trasformò l'acqua in vino.
13.30
e dietro a noi l'andò reiterando.
13.31
E prima che del tutto non si udisse
13.32
per allungarsi, un'altra "I' sono Oreste"
I' sono Oreste: allude all'amore più che fraterno di Pilade per Oreste, figlio di Agamennone e precisamente a quando Pilade si spacciò per Oreste, volendo morire in sua vece, e questi, sopraggiunto, gridò : " lo sono Oreste! ". 38. Amate: è il precetto evangelico di amare i nemici.
13.33
passò gridando, e anco non s'affisse.
13.34
«Oh!», diss'io, «padre, che voci son queste?».
13.35
E com'io domandai, ecco la terza
13.36
dicendo: `Amate da cui male aveste'.
13.37
E 'l buon maestro: «Questo cinghio sferza
cinghio: girone.
13.38
la colpa de la invidia, e però sono
13.39
tratte d'amor le corde de la ferza.
le corde de la ferza: le corde della sferza, cioè l'incitamento è tratto da esempi di carità (" d'amor ").
13.40
Lo fren vuol esser del contrario suono;
Lo fren: l'ammonimento o rimprovero sarà dato da esempi contrari, cioè d'odio (cfr. c. XIV, 13I e segg.).
13.41
credo che l'udirai, per mio avviso,
13.42
prima che giunghi al passo del perdono.
passo del perdono: il passaggio dal secondo al terzo girone, dove l'angelo cancellerà il secondo P dalla fronte di Dante.
13.43
Ma ficca li occhi per l'aere ben fiso,
13.44
e vedrai gente innanzi a noi sedersi,
13.45
e ciascuno è lungo la grotta assiso».
la grotta: la roccia (cfr. c. I, 48).
13.46
Allora più che prima li occhi apersi;
13.47
guarda'mi innanzi, e vidi ombre con manti
13.48
al color de la pietra non diversi.
13.49
E poi che fummo un poco più avanti,
13.50
udia gridar: "Maria, òra per noi":
òra per noi: prega per noi.
13.51
gridar `Michele' e "Pietro", e "Tutti santi".
13.52
Non credo che per terra vada ancoi
ancoi: oggi ( lat. hanc hodie).
13.53
omo sì duro, che non fosse punto
13.54
per compassion di quel ch'i' vidi poi;
13.55
ché, quando fui sì presso di lor giunto,
13.56
che li atti loro a me venivan certi,
certi: ben distinti e visibili.
13.57
per li occhi fui di grave dolor munto.
13.58
Di vil ciliccio mi parean coperti,
ciliccio: abito da penitente. In origine era formato da un tessuto ricavato da crini di cavallo, annodati a maglia.
13.59
e l'un sofferia l'altro con la spalla,
sofferia: sosteneva.
13.60
e tutti da la ripa eran sofferti.
13.61
Così li ciechi a cui la roba falla
falla: manca.
13.62
stanno a' perdoni a chieder lor bisogna,
a' perdoni: nei giorni delle indulgenze a chiedere l'elemosina davanti alle chiese.
13.63
e l'uno il capo sopra l'altro avvalla,
13.64
perché 'n altrui pietà tosto si pogna,
13.65
non pur per lo sonar de le parole,
13.66
ma per la vista che non meno agogna.
che non meno agogna: che non meno invoca pietà.
13.67
E come a li orbi non approda il sole,
non approda: non giova, non fa pro.
13.68
così a l'ombre quivi, ond'io parlo ora,
13.69
luce del ciel di sé largir non vole;
13.70
ché a tutti un fil di ferro i cigli fóra
13.71
e cusce sì, come a sparvier selvaggio
come a sparvier: si usava chiudere con filo di ferro le palpebre del falcone da addomesticare, perché avendo gli occhi aperti e vedendo l'uomo non sarebbe stato quieto. Per il falcone " grifagno " cfr. Inf. c. XXII, 139.
13.72
si fa però che queto non dimora.
13.73
A me pareva, andando, fare oltraggio,
13.74
veggendo altrui, non essendo veduto:
13.75
per ch'io mi volsi al mio consiglio saggio.
13.76
Ben sapev'ei che volea dir lo muto;
lo muto: il mio inespresso pensiero.
13.77
e però non attese mia dimanda,
13.78
ma disse: «Parla, e sie breve e arguto».
arguto: sostanzioso, concettoso.
13.79
Virgilio mi venìa da quella banda
13.80
de la cornice onde cader si puote,
13.81
perché da nulla sponda s'inghirlanda;
13.82
da l'altra parte m'eran le divote
13.83
ombre, che per l'orribile costura
costura: cucitura; s'intende, delle palpebre.
13.84
premevan sì, che bagnavan le gote.
13.85
Volsimi a loro e «O gente sicura»,
13.86
incominciai, «di veder l'alto lume
13.87
che 'l disio vostro solo ha in sua cura,
che 'l disìo vostro: che il vostro desiderio ha come suo unico oggetto.
13.88
se tosto grazia resolva le schiume
resolva le schiume: disciolga le impurità.
13.89
di vostra coscienza sì che chiaro
13.90
per essa scenda de la mente il fiume,
13.91
ditemi, ché mi fia grazioso e caro,
13.92
s'anima è qui tra voi che sia latina;
13.93
e forse lei sarà buon s'i' l'apparo».
lei sarà buon: a lei sarà utile.
13.94
«O frate mio, ciascuna è cittadina
ciascuna è cittadina: ogni anima è cittadina della città di Dio (" d'una vera città " ).
13.95
d'una vera città; ma tu vuo' dire
13.96
che vivesse in Italia peregrina».
peregrina: di passaggio, quasi ospite, essendo sua vera città la città di Dio.
13.97
Questo mi parve per risposta udire
13.98
più innanzi alquanto che là dov'io stava,
13.99
ond'io mi feci ancor più là sentire.
13.100
Tra l'altre vidi un'ombra ch'aspettava
13.101
in vista; e se volesse alcun dir 'Come?',
13.102
lo mento a guisa d'orbo in sù levava.
13.103
«Spirto», diss'io, «che per salir ti dome,
ti dome: ti domi, cioè ti sottometti alla purificazione.
13.104
se tu se' quelli che mi rispondesti,
13.105
fammiti conto o per luogo o per nome».
conto: cognito, noto.
13.106
«Io fui sanese», rispuose, «e con questi
13.107
altri rimendo qui la vita ria,
13.108
lagrimando a colui che sé ne presti.
lagrimando: versando lacrime a Dio, perché ci conceda la sua visione (" che sé ne presti ").
13.109
Savia non fui, avvegna che Sapìa
Sapìa: Sapia, senese, moglie di Ghinibaldo Saracini signore di Castiglioncello, fu zia paterna di Provenzan Salvani. Per comprendere l'avversativa va ricordato che il nome "Sapia" si ricollega etimologicamente all'aggettivo "savia", e che nella cultura filosofico-retorico-giuridica del Medioevo "nomina sunt consequentia rerum".
13.110
fossi chiamata, e fui de li altrui danni
13.111
più lieta assai che di ventura mia.
13.112
E perché tu non creda ch'io t'inganni,
13.113
odi s'i' fui, com'io ti dico, folle,
13.114
già discendendo l'arco d'i miei anni.
13.115
Eran li cittadin miei presso a Colle
presso a Colle: i Senesi erano venuti a contatto ( " giunti " ) con i nemici presso Colle Valdelsa, ove si svolse la battaglia in cui perse la vita Provenzano. E Sapia pregava Dio per la sconfitta dei concittadini, come effettivamente accadde.
13.116
in campo giunti co' loro avversari,
13.117
e io pregava Iddio di quel ch'e' volle.
13.118
Rotti fuor quivi e vòlti ne li amari
13.119
passi di fuga; e veggendo la caccia,
la caccia: l'inseguimento dei Fiorentini dietro i Senesi.
13.120
letizia presi a tutte altre dispari,
13.121
tanto ch'io volsi in sù l'ardita faccia
13.122
gridando a Dio: "Omai più non ti temo!",
13.123
come fe' 'l merlo per poca bonaccia.
come fe' 'l merlo: secondo una leggenda popolare, un merlo, visto spuntare il sole limpido, in una chiara giornata d'inverno, avrebbe detto: " Più non ti temo, domine, ch'uscito son del verno ".
13.124
Pace volli con Dio in su lo stremo
in su lo stremo: all'ultimo momento.
13.125
de la mia vita; e ancor non sarebbe
e ancor: non sarebbe ancora, con le penitenze, scemato il mio debito verso Dio, se non mi avesse ricordato nelle sue preghiere ecc.
13.126
lo mio dover per penitenza scemo,
scemo: compiuto, soddisfatto.
13.127
se ciò non fosse, ch'a memoria m'ebbe
13.128
Pier Pettinaio in sue sante orazioni
Pier Pettinaio: terziario francescano e uomo di grande virtù, dovette il suo nome al fatto di vender pettini in Siena. Morì in odore di santità nel 1289.
13.129
a cui di me per caritate increbbe.
increbbe: sentì pietà.
13.130
Ma tu chi se', che nostre condizioni
13.131
vai dimandando, e porti li occhi sciolti,
sciolti: non cuciti.
13.132
sì com'io credo, e spirando ragioni?».
13.133
«Li occhi», diss'io, «mi fieno ancor qui tolti,
13.134
ma picciol tempo, ché poca è l'offesa
ché poca è l'offesa: che non grave è il mio peccato d'invidia.
13.135
fatta per esser con invidia vòlti.
13.136
Troppa è più la paura ond'è sospesa
13.137
l'anima mia del tormento di sotto,
del tormento di sotto: della peso dei superbi, gravati da massi.
13.138
che già lo 'ncarco di là giù mi pesa».
13.139
Ed ella a me: «Chi t'ha dunque condotto
13.140
qua sù tra noi, se giù ritornar credi?»
13.141
E io: «Costui ch'è meco e non fa motto.
13.142
E vivo sono; e però mi richiedi,
13.143
spirito eletto, se tu vuo' ch'i' mova
13.144
di là per te ancor li mortai piedi».
13.145
«Oh, questa è a udir sì cosa nuova»,
13.146
rispuose, «che gran segno è che Dio t'ami;
13.147
però col priego tuo talor mi giova.
mi giova: aiutarmi.
13.148
E cheggioti, per quel che tu più brami,
13.149
se mai calchi la terra di Toscana,
13.150
che a' miei propinqui tu ben mi rinfami.
a' miei propinqui: ai miei parenti tu riabiliti la mia memoria (" ben mi rinfami " ).
13.151
Tu li vedrai tra quella gente vana
tra quella gente vana: tra i Senesi, che sperano di poter sfruttare, per i loro commerci, il porto di Talamone, da essi acquistato. Essi vi perderanno speranze ben maggiori che quelle riposte nella Diana (fiume sotterraneo che i Senesi credevano scorresse nelle viscere del loro territorio); ma più speranze di tutti perderanno quelli che sperano di divenire ammiragli della ipotetica flotta di Talamone.
13.152
che spera in Talamone, e perderagli
13.153
più di speranza ch'a trovar la Diana;
13.154
ma più vi perderanno li ammiragli».
Purgatorio : Canto 14
14.1
«Chi è costui che 'l nostro monte cerchia
cerchia: percorre girandogli intorno.
14.2
prima che morte li abbia dato il volo,
14.3
e apre li occhi a sua voglia e coverchia?».
e coverchia: e coperchia, cioè chiude le palpebre.
14.4
«Non so chi sia, ma so ch'e' non è solo:
14.5
domandal tu che più li t'avvicini,
14.6
e dolcemente, sì che parli, acco'lo».
acco'lo : accoglilo.
14.7
Così due spirti, l'uno a l'altro chini,
14.8
ragionavan di me ivi a man dritta;
14.9
poi fer li visi, per dirmi, supini;
supini: levati verso l'alto.
14.10
e disse l'uno: «O anima che fitta
l'uno: è Guido del Duca, della nobile famiglia ravennate degli Onesti, vissuto nella prima meta del sec. XIII. Di lui sappiamo soltanto che esercitò in Romagna la professione di giudice, e che era ancor vivo nel 1249. Fu uomo di parte ghibellina.
14.11
nel corpo ancora inver' lo ciel ten vai,
14.12
per carità ne consola e ne ditta
ne ditta: dicci (da dittare, frequentativo di dire).
14.13
onde vieni e chi se'; ché tu ne fai
14.14
tanto maravigliar de la tua grazia,
14.15
quanto vuol cosa che non fu più mai».
quanto vuol: quanto richiede una cosa mai accaduta.
14.16
E io: «Per mezza Toscana si spazia
14.17
un fiumicel che nasce in Falterona,
un fiumicel: l'Arno, che nasce dal monte Falterona e a cui non bastano (" nol sazia ") cento miglia di corso.
14.18
e cento miglia di corso nol sazia.
14.19
Di sovr'esso rech'io questa persona:
14.20
dirvi ch'i' sia, saria parlare indarno,
14.21
ché 'l nome mio ancor molto non suona».
14.22
«Se ben lo 'ntendimento tuo accarno
accarno: penetro con l'intelletto fino a comprendere la sostanza.
14.23
con lo 'ntelletto», allora mi rispuose
14.24
quei che diceva pria, «tu parli d'Arno».
14.25
E l'altro disse lui: «Perché nascose
E l'altro: è Rinieri dei Paolucci da Calboli, forlivese e uomo di parte guelfa. Prese parte attiva alle lotte interne delle Romagne, ricoprendo ripetutamente la carica di podestà in varie città emiliano-romagnole. Morì nel 1296, quando le milizie forlivesi, guidate da Scarpetta Ordelaffi, espugnarono il castello di Calboli.
14.26
questi il vocabol di quella riviera,
vocabol: nome (cfr. c. V, 97).
14.27
pur com'om fa de l'orribili cose?».
14.28
E l'ombra che di ciò domandata era,
14.29
si sdebitò così: «Non so; ma degno
14.30
ben è che 'l nome di tal valle pèra;
pèra: perisca, sia dimenticato.
14.31
ché dal principio suo, ov'è sì pregno
ché dal principio: poiché, dalla sua sorgente, ove l'Appennino (" l'alpestro monte "), dal quale è staccato il capo Faro (" Peloro "), sulle coste sicule davanti alla Calabria, è cosi massiccio ( " pregno" ) che in pochi altri luoghi supera quella conformazione ( " segno " ), fino là dove mette foce ( " si rende " ) in cambio ( " per ristoro ") di quelle acque che il sole prosciuga dal mare mediante l'evaporazione, per cui i fiumi hanno la corrente che li accompagna ( " ciò che va con loro " ), la virtù e così nemica che viene scacciata come biscia da tutti gli abitanti della valle o per iattura del luogo, o per pessima abitudine ( " mal uso " ) che in essi si è annidata (" fruga " cfr. c. III, 3 e Inf. c. XXX,70). Si tratta della valle dell'Arno.
14.32
l'alpestro monte ond'è tronco Peloro,
14.33
che 'n pochi luoghi passa oltra quel segno,
14.34
infin là 've si rende per ristoro
14.35
di quel che 'l ciel de la marina asciuga,
14.36
ond'hanno i fiumi ciò che va con loro,
14.37
vertù così per nimica si fuga
14.38
da tutti come biscia, o per sventura
14.39
del luogo, o per mal uso che li fruga:
14.40
ond'hanno sì mutata lor natura
14.41
li abitator de la misera valle,
14.42
che par che Circe li avesse in pastura.
Circe: la mitica maga che trasformava gli uomini in bruti.
14.43
Tra brutti porci, più degni di galle
porci: sono gli abitanti del Casentino, dove scorre l'alto corso dell'Arno. Forse con allusione a Porciano, feudo dei conti Guidi di Romena. Le galle stanno per: ghiande.
14.44
che d'altro cibo fatto in uman uso,
14.45
dirizza prima il suo povero calle.
calle: il letto del fiume, ancora modesto nelle dimensioni (" povero ").
14.46
Botoli trova poi, venendo giuso,
Botoli: sono gli abitanti di Arezzo, paragonati a cagnolini ( " botoli ") ringhiosi più di quanto loro consentano le possibilità; Lo spunto può provenire dallo stemma della stessa città, dove si leggeva "a cane non magno saepe tenetur aper" ("spesso il cinghiale viene preso da un piccolo cane. Presso Arezzo l'Arno piega in un'ansa (" torce il muso ") e va a formare il Valdarno superiore.
14.47
ringhiosi più che non chiede lor possa,
14.48
e da lor disdegnosa torce il muso.
14.49
Vassi caggendo; e quant'ella più 'ngrossa,
Vassi caggendo: va sempre più a valle, cadendo (" caggendo ").
14.50
tanto più trova di can farsi lupi
di can farsi lupi: gli abitanti da cani si trasformarono in lupi, animali feroci e bramosi. Siamo a Firenze.
14.51
la maladetta e sventurata fossa.
14.52
Discesa poi per più pelaghi cupi,
pelaghi cupi: i tratti incassati del Valdarno inferiore, dopo Signa.
14.53
trova le volpi sì piene di froda,
le volpi: sono gli abitanti di Pisa, che non temono astuzia (" ingegno ": trappola) che li sorprenda.
14.54
che non temono ingegno che le occùpi.
14.55
Né lascerò di dir perch'altri m'oda;
14.56
e buon sarà costui, s'ancor s'ammenta
costui: Dante, se, tornato sulla terra, ancora terrà a mente (" s'ammenta ") ciò che lo spirito della verità mi svela (" mi disnoda " ).
14.57
di ciò che vero spirto mi disnoda.
14.58
Io veggio tuo nepote che diventa
tuo nepote: si rivolge a Rinieri, il cui nipote, Fulcieri, chiamato come podestà in Firenze nel primo semestre del 1303, realizzò i più arditi desideri dei Neri, con l'inferire contro i Bianchi. Torturò e uccise molti fiorentini come belva esperta (" antica ") guadagnandosi una orribile reputazione di sanguinario e lasciò la città in una condizione tale, che neppure in mille anni sarebbe tornata allo stato primitivo (" primaio ").
14.59
cacciator di quei lupi in su la riva
14.60
del fiero fiume, e tutti li sgomenta.
14.61
Vende la carne loro essendo viva;
14.62
poscia li ancide come antica belva;
14.63
molti di vita e sé di pregio priva.
14.64
Sanguinoso esce de la trista selva;
14.65
lasciala tal, che di qui a mille anni
14.66
ne lo stato primaio non si rinselva».
14.67
Com'a l'annunzio di dogliosi danni
14.68
si turba il viso di colui ch'ascolta,
14.69
da qual che parte il periglio l'assanni,
da qual che: da qualunque.
14.70
così vid'io l'altr'anima, che volta
14.71
stava a udir, turbarsi e farsi trista,
14.72
poi ch'ebbe la parola a sé raccolta.
14.73
Lo dir de l'una e de l'altra la vista
14.74
mi fer voglioso di saper lor nomi,
14.75
e dimanda ne fei con prieghi mista;
14.76
per che lo spirto che di pria parlomi
parlomi: mi parlò; è Guido del Duca.
14.77
ricominciò: «Tu vuo' ch'io mi deduca
14.78
nel fare a te ciò che tu far non vuo'mi.
non vuo'mi :non mi vuoi (cfr. v. 20).
14.79
Ma da che Dio in te vuol che traluca
14.80
tanto sua grazia, non ti sarò scarso;
14.81
però sappi ch'io fui Guido del Duca.
14.82
Fu il sangue mio d'invidia sì riarso,
14.83
che se veduto avesse uom farsi lieto,
14.84
visto m'avresti di livore sparso.
14.85
Di mia semente cotal paglia mieto;
Di mia semente: questo è il frutto ch'io raccolgo di ciò che ho seminato.
14.86
o gente umana, perché poni 'l core
14.87
là 'v'è mestier di consorte divieto?
là 'v'è mestier: là dov'è necessaria l'esclusione di ogni compagno (" di consorte divieto ") per goderne? Sono cioè i beni materiali.
14.88
Questi è Rinier; questi è 'l pregio e l'onore
14.89
de la casa da Calboli, ove nullo
14.90
fatto s'è reda poi del suo valore.
reda: erede.
14.91
E non pur lo suo sangue è fatto brullo,
E non pur: e non soltanto il suo casato s'è fatto spoglio ( " brullo " ) in Romagna (" tra 'l Po… ") delle virtù necessarie alla vita seria (" al vero ") e alla ricreazione dello spirito (" trastullo ").
14.92
tra 'l Po e 'l monte e la marina e 'l Reno,
14.93
del ben richesto al vero e al trastullo;
14.94
ché dentro a questi termini è ripieno
termini: confini.
14.95
di venenosi sterpi, sì che tardi
sì che tardi: sì che per quanto si coltivasse, ormai questi sterpi stenterebbero ad essere estirpati.
14.96
per coltivare omai verrebber meno.
14.97
Ov'è 'l buon Lizio e Arrigo Mainardi?
Lizio: signore di Valbona, sui monti tra la Toscana e la Romagna. E' il primo di una serie di uomini virtuosi; gli altri sono: Arrigo Mainardi, dei signori di Bertinoro, Pier Traversaro signore di Ravenna dal 1218 al 1225, Guido dei conti di Carpigna o Carpegna, nel Montefeltro.
14.98
Pier Traversaro e Guido di Carpigna?
14.99
Oh Romagnuoli tornati in bastardi!
14.100
Quando in Bologna un Fabbro si ralligna?
Fabbro: della famiglia dei Lambertazzi di Bologna, capo dei ghibellini di Romagna.
14.101
quando in Faenza un Bernardin di Fosco,
Bernardin di Fosco: difese Faenza, nel 1240, contro Federico II.
14.102
verga gentil di picciola gramigna?
14.103
Non ti maravigliar s'io piango, Tosco,
14.104
quando rimembro con Guido da Prata,
Guido da Prata: gentiluomo di Prata, tra Faenza e Ravenna, vissuto a cavallo dei sec. XII e XIII.
14.105
Ugolin d'Azzo che vivette nosco,
Ugolin d'Azzo: è forse il rappresentante di Faenza alla negoziazione della Pace di Costanza nel 1183. Nosco: con noi.
14.106
Federigo Tignoso e sua brigata,
Federigo Tignoso: forse di Rimini, usava accogliere in casa sua quanti gli somigliassero moralmente (" e sua brigata ").
14.107
la casa Traversara e li Anastagi
la casa Traversara: grande famiglia ravennate, come quella degli Anastagi.
14.108
(e l'una gente e l'altra è diretata),
diretata: priva di eredi.
14.109
le donne e ' cavalier, li affanni e li agi
14.110
che ne 'nvogliava amore e cortesia
14.111
là dove i cuor son fatti sì malvagi.
14.112
O Bretinoro, ché non fuggi via,
o Bretinoro: Bertinoro, città tra Forlì e Cesena, contò famiglie rinomate per la cortesia e la liberalità; sulla piazza sorgeva (e sorge tuttora) una colonna munita di anelli, ciascuno appartenente ad una famiglia. Il forestiero che avesse legato il proprio cavallo ad uno degli anelli, diveniva automaticamente ospite della famiglia cui l'anello apparteneva.
14.113
poi che gita se n'è la tua famiglia
14.114
e molta gente per non esser ria?
14.115
Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;
Bagnacaval: Bagnacavallo, tra Lugo e Ravenna, era feudo dei conti Malvicini, la cui discendenza in linea maschile era spenta nel 1300.
14.116
e mal fa Castrocaro, e peggio Conio,
Castrocaro: nella valle del Montone; Conio, o Cunio, era un castello presso Imola.
14.117
che di figliar tai conti più s'impiglia.
14.118
Ben faranno i Pagan, da che 'l demonio
i Pagan: i Pagani di Faenza faranno bene a non generare altri figli, dopo che Maghinardo da Susinana (" 'l demonio lor ") sarà morto (cfr. Inf. c. XXVII, 49). Maghinardo morì nel 1302.
14.119
lor sen girà; ma non però che puro
14.120
già mai rimagna d'essi testimonio.
14.121
O Ugolin de' Fantolin, sicuro
Ugolin de' Fantolin: Ugolino dei Fantolini da Cerfugnano, presso Faenza; la sua discendenza si era spenta prima del 1300, perciò il suo nome è " sicuro " di non venir macchiato.
14.122
è il nome tuo, da che più non s'aspetta
14.123
chi far lo possa, tralignando, scuro.
14.124
Ma va via, Tosco, omai; ch'or mi diletta
14.125
troppo di pianger più che di parlare,
14.126
sì m'ha nostra ragion la mente stretta».
nostra ragion: il nostro ragionamento.
14.127
Noi sapavam che quell'anime care
14.128
ci sentivano andar; però, tacendo,
però, tacendo: perciò con il loro tacere ci rassicuravano circa la strada da percorrere.
14.129
facean noi del cammin confidare.
14.130
Poi fummo fatti soli procedendo,
14.131
folgore parve quando l'aere fende,
14.132
voce che giunse di contra dicendo:
14.133
"Anciderammi qualunque m'apprende";
Anciderammi: mi ucciderà chiunque mi troverà. E' la frase pronunciata da Caino, dopo che fu maledetto per l'uccisione di Abele. E' questo il primo esempio di invidia punita (cfr. c. XIII, 40 e n.).
14.134
e fuggì come tuon che si dilegua,
14.135
se sùbito la nuvola scoscende.
scoscende: squarcia.
14.136
Come da lei l'udir nostro ebbe triegua,
14.137
ed ecco l'altra con sì gran fracasso,
14.138
che somigliò tonar che tosto segua:
14.139
«Io sono Aglauro che divenni sasso»;
Aglauro: è la figlia di Cecrope, re di Atene, la quale fu mutata in sasso da Mercurio, poiché, mossa da invidia, ostacolava l'amore della sorella Erse per il dio.
14.140
e allor, per ristrignermi al poeta,
14.141
in destro feci e non innanzi il passo.
14.142
Già era l'aura d'ogne parte queta;
14.143
ed el mi disse: «Quel fu 'l duro camo
camo: il freno (camus era il morso per i cavalli).
14.144
che dovria l'uom tener dentro a sua meta.
14.145
Ma voi prendete l'esca, sì che l'amo
prendete l'esca: vi lasciate adescare dal demonio (" antico avversaro " cfr. c. XI, 201).
14.146
de l'antico avversaro a sé vi tira;
14.147
e però poco val freno o richiamo.
14.148
Chiamavi 'l cielo e 'ntorno vi si gira,
14.149
mostrandovi le sue bellezze etterne,
14.150
e l'occhio vostro pur a terra mira;
14.151
onde vi batte chi tutto discerne».
vi batte: vi castiga.
Purgatorio : Canto 15
15.1
Quanto tra l'ultimar de l'ora terza
Quanto: E' questo un passo molto confuso. Il senso generale è: quanto della sfera celeste, che sempre è in movimento ("scherza") come un fanciullo, è visibile ( " par " ) dall'alba ( " 'l principio del dì " ) alla fine dell'ora terza, cioè per tre ore, altrettanto al sole appariva (" pareva ") esser rimasto del suo cammino verso il tramonto: nel Purgatorio (" la ") era il vespro e in Italia (" qui ") mezzanotte. Se nel Purgatorio mancavano tre ore al tramonto, a Gerusalemme, cioè agli antipodi, dovevano mancare tre ore all'aurora, valutabile intorno alle 6 a Gerusalemme erano dunque le 3 e in Italia, dove è una differenza di tre ore in meno rispetto a Gerusalemme era mezzanotte. II conto torna ma tutta l'immagine è macchinosa e inefficace.
15.2
e 'l principio del dì par de la spera
15.3
che sempre a guisa di fanciullo scherza,
15.4
tanto pareva già inver' la sera
15.5
essere al sol del suo corso rimaso;
15.6
vespero là, e qui mezza notte era.
15.7
E i raggi ne ferien per mezzo 'l naso,
per mezzo 'l naso: in mezzo al viso, poiché, girato il monte, i poeti sono rivolti ad occidente.
15.8
perché per noi girato era sì 'l monte,
15.9
che già dritti andavamo inver' l'occaso,
15.10
quand'io senti' a me gravar la fronte
15.11
a lo splendore assai più che di prima,
a lo splendore: dalla luminosità.
15.12
e stupor m'eran le cose non conte;
non conte: sconosciute.
15.13
ond'io levai le mani inver' la cima
15.14
de le mie ciglia, e fecimi 'l solecchio,
solecchio: gesto compiuto portando alla fronte la mano, aperta a visiera, per riparare gli occhi dalla luce eccessiva.
15.15
che del soverchio visibile lima.
15.16
Come quando da l'acqua o da lo specchio
15.17
salta lo raggio a l'opposita parte,
salta: si riflette.
15.18
salendo su per lo modo parecchio
salendo: tornando in su in modo pari (" parecchio ") a quello col quale discende.
15.19
a quel che scende, e tanto si diparte
si diparte: si allontana dalla perpendicolare (" dal cader de la pietre ") nella stessa misura angolare ("in igual tratta "), così come dimostrano l'esperienza e la scienza.
15.20
dal cader de la pietra in igual tratta,
15.21
sì come mostra esperienza e arte;
15.22
così mi parve da luce rifratta
rifratta: riflessa.
15.23
quivi dinanzi a me esser percosso;
15.24
per che a fuggir la mia vista fu ratta.
15.25
«Che è quel, dolce padre, a che non posso
a che non posso: contro cui non posso far schermo al viso in modo che mi giovi (" vaglia ").
15.26
schermar lo viso tanto che mi vaglia»,
15.27
diss'io, «e pare inver' noi esser mosso?».
15.28
«Non ti maravigliar s'ancor t'abbaglia
15.29
la famiglia del cielo», a me rispuose:
la famiglia del cielo: le creature celesti.
15.30
«messo è che viene ad invitar ch'om saglia.
ch'om saglia: che si salga (" om " è impersonale, come il francese on, dal lat. homo).
15.31
Tosto sarà ch'a veder queste cose
15.32
non ti fia grave, ma fieti diletto
15.33
quanto natura a sentir ti dispuose».
15.34
Poi giunti fummo a l'angel benedetto,
Poi: dopo che.
15.35
con lieta voce disse: «Intrate quinci
15.36
ad un scaleo vie men che li altri eretto».
vie men: meno ripido ( " eretto " ) degli altri.
15.37
Noi montavam, già partiti di linci,
linci: di lì.
15.38
e "Beati misericordes!" fue
Beati misericordes: è l'inizio della quinta beatitudine evangelica. La misericordia è la virtù contraria al vizio dell'invidia.
15.39
cantato retro, e "Godi tu che vinci!".
Godi tu che vinci: s'intende l'ostacolo del peccato. " E' un saluto augurale, che esprime il sentimento delle anime in vidiose, ormai fatte ardenti di carità " (Rossi). E' presumibile che, a questo punto, l'angelo abbia cancellato un'altra P dalla fronte di Dante.
15.40
Lo mio maestro e io soli amendue
15.41
suso andavamo; e io pensai, andando,
15.42
prode acquistar ne le parole sue;
prode: giovamento (cfr. c. XIII, 67).
15.43
e dirizza'mi a lui sì dimandando:
15.44
«Che volse dir lo spirto di Romagna,
Che volse: cosa volle intendere Guido del Duca, quando disse esclusione di ogni compagno? (" e «divieto» e «consorte» cfr. c. XIV, 87).
15.45
e `divieto' e `consorte' menzionando?».
15.46
Per ch'elli a me: «Di sua maggior magagna
magagna: difetto o colpa, cioè l'invidia.
15.47
conosce il danno; e però non s'ammiri
non s'ammiri: non ci si meravigli.
15.48
se ne riprende perché men si piagna.
15.49
Perché s'appuntano i vostri disiri
Perché: poiché i vostri desideri si rivolgono a quei beni la cui consistenza (" parte ") diminuisce (" si scema ") quando si sia in più a goderne (" per compagnia "), l'invidia muove ai sospiri, come un mantice (" mantaco "), i vostri petti.
15.50
dove per compagnia parte si scema,
15.51
invidia move il mantaco a' sospiri.
15.52
Ma se l'amor de la spera supprema
15.53
torcesse in suso il disiderio vostro,
15.54
non vi sarebbe al petto quella tema;
15.55
ché, per quanti si dice più lì "nostro",
ché, per quanti: ché quanti più sono quelli da cui in cielo ( " lì " ) si dice "nostro", tanta più beatitudine possiede ciascuno e maggiormente s'illumina d'amore quel cielo ( " chiostro " ).
15.56
tanto possiede più di ben ciascuno,
15.57
e più di caritate arde in quel chiostro».
15.58
«Io son d'esser contento più digiuno»,
Io son: sono ancora più lontano (" digiuno ") dall'esser soddisfatto. Dante non comprende come un bene, se distribuito, possa rendere più ricchi i numerosi possessori.
15.59
diss'io, «che se mi fosse pria taciuto,
15.60
e più di dubbio ne la mente aduno.
15.61
Com'esser puote ch'un ben, distributo
15.62
in più posseditor, faccia più ricchi
15.63
di sé, che se da pochi è posseduto?».
15.64
Ed elli a me: «Però che tu rificchi
15.65
la mente pur a le cose terrene,
15.66
di vera luce tenebre dispicchi.
dispicchi: cogli tenebre dalla vera luce.
15.67
Quello infinito e ineffabil bene
15.68
che là sù è, così corre ad amore
15.69
com'a lucido corpo raggio vene.
com'a lucido corpo: come la luce colpisce un corpo capace di rifletterla.
15.70
Tanto si dà quanto trova d'ardore;
15.71
sì che, quantunque carità si stende,
sí che: "sicché quanto maggiore è la carità, tanto più ad essa si dona la eterna bontà " (Momigliano).
15.72
cresce sovr'essa l'etterno valore.
15.73
E quanta gente più là sù s'intende,
s'intende: è innamorata.
15.74
più v'è da bene amare, e più vi s'ama,
15.75
e come specchio l'uno a l'altro rende.
15.76
E se la mia ragion non ti disfama,
disfama: sazia la tua voglia di sapere.
15.77
vedrai Beatrice, ed ella pienamente
15.78
ti torrà questa e ciascun'altra brama.
15.79
Procaccia pur che tosto sieno spente,
15.80
come son già le due, le cinque piaghe,
le cinque piaghe: le cinque P, che ancora Dante ha sulla fronte.
15.81
che si richiudon per esser dolente».
per esser dolente: in virtù del dolore provato come penitente.
15.82
Com'io voleva dicer "Tu m'appaghe",
15.83
vidimi giunto in su l'altro girone,
15.84
sì che tacer mi fer le luci vaghe.
luci valhe: gli occhi desiderosi di vedere.
15.85
Ivi mi parve in una visione
una visione: cominciano esempi di mansuetudine.
15.86
estatica di sùbito esser tratto,
15.87
e vedere in un tempio più persone;
15.88
e una donna, in su l'entrar, con atto
15.89
dolce di madre dicer: «Figliuol mio
Figliuol mio: riferisce l'episodio evangelico della disputa di Gesù coi dottori nel tempio, quando Maria, ritrovato dopo tre giorni di ricerche il divino fanciullo, non lo rimproverò, ma si rivolse a lui con mansuetudine.
15.90
perché hai tu così verso noi fatto?
15.91
Ecco, dolenti, lo tuo padre e io
15.92
ti cercavamo». E come qui si tacque,
15.93
ciò che pareva prima, dispario.
15.94
Indi m'apparve un'altra con quell'acque
quell'acque: le lacrime. L'altra è la moglie di Pisistrato, che pianse lacrime d'ira quando quel sentimento in lei (" in altrui ") si accese. Narra Valerio Massimo che uno sconosciuto, baciò sulla pubblica via la giovane figlia di Pisistrato, signore di Atene; la madre desiderava che l'audace fosse punito con la morte, ma Pisistrato rispose: " Se puniremo con la morte chi ci ama, cosa faremo a chi ci vuol male? ".
15.95
giù per le gote che 'l dolor distilla
15.96
quando di gran dispetto in altrui nacque,
15.97
e dir: «Se tu se' sire de la villa
de la villa: della città dl Atene; per la scelta del nome da dare alla città, vennero a contesa tra loro Poseidone e Atena, la quale riportò la vittoria.
15.98
del cui nome ne' dèi fu tanta lite,
15.99
e onde ogni scienza disfavilla,
15.100
vendica te di quelle braccia ardite
15.101
ch'abbracciar nostra figlia, o Pisistràto».
15.102
E 'l segnor mi parea, benigno e mite,
15.103
risponder lei con viso temperato:
15.104
«Che farem noi a chi mal ne disira,
15.105
se quei che ci ama è per noi condannato?»,
15.106
Poi vidi genti accese in foco d'ira
15.107
con pietre un giovinetto ancider, forte
un giovinetto: è Santo Stefano, lapidato dai Giudei.
15.108
gridando a sé pur: «Martira, martira!».
15.109
E lui vedea chinarsi, per la morte
15.110
che l'aggravava già, inver' la terra,
15.111
ma de li occhi facea sempre al ciel porte,
al ciel porte: " Teneva gli occhi fissi al cielo, quasi porte ad accogliere in sé la visione di Dio " (Casini-Barbi).
15.112
orando a l'alto Sire, in tanta guerra,
15.113
che perdonasse a' suoi persecutori,
15.114
con quello aspetto che pietà diserra.
15.115
Quando l'anima mia tornò di fori
di fori: alle cose esterne, che son vere al di fuori di lei.
15.116
a le cose che son fuor di lei vere,
15.117
io riconobbi i miei non falsi errori.
15.118
Lo duca mio, che mi potea vedere
15.119
far sì com'om che dal sonno si slega,
15.120
disse: «Che hai che non ti puoi tenere,
15.121
ma se' venuto più che mezza lega
15.122
velando li occhi e con le gambe avvolte,
15.123
a guisa di cui vino o sonno piega?».
15.124
«O dolce padre mio, se tu m'ascolte,
15.125
io ti dirò», diss'io, «ciò che m'apparve
15.126
quando le gambe mi furon sì tolte».
15.127
Ed ei: «Se tu avessi cento larve
larve : maschere.
15.128
sovra la faccia, non mi sarian chiuse
15.129
le tue cogitazion, quantunque parve.
15.130
Ciò che vedesti fu perché non scuse
perché non scuse: affinché non ricusi.
15.131
d'aprir lo core a l'acque de la pace
15.132
che da l'etterno fonte son diffuse.
15.133
Non dimandai "Che hai?" per quel che face
per quel che face: per la ragione per cui lo fa chi vede solo con l'occhio del corpo (" l'occhio che non vede ").
15.134
chi guarda pur con l'occhio che non vede,
15.135
quando disanimato il corpo giace;
15.136
ma dimandai per darti forza al piede:
15.137
così frugar conviensi i pigri, lenti
frugar: penetrare nell'anima per stimolare.
15.138
ad usar lor vigilia quando riede».
15.139
Noi andavam per lo vespero, attenti
per lo vespero: cfr. v. 6.
15.140
oltre quanto potean li occhi allungarsi
15.141
contra i raggi serotini e lucenti.
serotini: della sera.
15.142
Ed ecco a poco a poco un fummo farsi
15.143
verso di noi come la notte oscuro;
15.144
né da quello era loco da cansarsi.
15.145
Questo ne tolse li occhi e l'aere puro.
li occhi: la vista.
Purgatorio : Canto 16
16.1
Buio d'inferno e di notte privata
16.2
d'ogne pianeto, sotto pover cielo,
pover cielo: perché quando è privato del suoi astri, il cielo appare come depauperato.
16.3
quant'esser può di nuvol tenebrata,
16.4
non fece al viso mio sì grosso velo
16.5
come quel fummo ch'ivi ci coperse,
16.6
né a sentir di così aspro pelo,
16.7
che l'occhio stare aperto non sofferse;
16.8
onde la scorta mia saputa e fida
saputa: saggia.
16.9
mi s'accostò e l'omero m'offerse.
16.10
Sì come cieco va dietro a sua guida
16.11
per non smarrirsi e per non dar di cozzo
16.12
in cosa che 'l molesti, o forse ancida,
16.13
m'andava io per l'aere amaro e sozzo,
16.14
ascoltando il mio duca che diceva
16.15
pur: «Guarda che da me tu non sia mozzo».
mozzo: separato.
16.16
Io sentia voci, e ciascuna pareva
16.17
pregar per pace e per misericordia
16.18
l'Agnel di Dio che le peccata leva.
16.19
Pur "Agnus Dei" eran le loro essordia;
essordia: il principio della loro preghiera era sempre "Agnus Dei", cantico angelico che s'intona nella messa. Si noti che " essordia " è un latinismo da " exordia ".
16.20
una parola in tutte era e un modo,
16.21
sì che parea tra esse ogne concordia.
16.22
«Quei sono spirti, maestro, ch'i' odo?»,
16.23
diss'io. Ed elli a me: «Tu vero apprendi,
16.24
e d'iracundia van solvendo il nodo».
van solvendo: si van liberando dal peccato d'iracondia.
16.25
«Or tu chi se' che 'l nostro fummo fendi,
fendi: tagli. Dante, infatti attraversa il fumo col corpo.
16.26
e di noi parli pur come se tue
16.27
partissi ancor lo tempo per calendi?».
partissi: dividessi ancora il tempo per mesi (" calendi " o calende, il primo giorno del mese, presso i latini); cioè fossi ancor vivo.
16.28
Così per una voce detto fue;
16.29
onde 'l maestro mio disse: «Rispondi,
16.30
e domanda se quinci si va sùe».
16.31
E io: «O creatura che ti mondi
16.32
per tornar bella a colui che ti fece,
16.33
maraviglia udirai, se mi secondi».
se mi secondi: se mi segui, mi accompagni.
16.34
«Io ti seguiterò quanto mi lece»,
16.35
rispuose; «e se veder fummo non lascia,
e se veder: e se il fumo non consente che ci si veda.
16.36
l'udir ci terrà giunti in quella vece».
16.37
Allora incominciai: «Con quella fascia
fascia: il corpo, che è come l'involucro dell'anima.
16.38
che la morte dissolve men vo suso,
16.39
e venni qui per l'infernale ambascia.
16.40
E se Dio m'ha in sua grazia rinchiuso,
rinchiuso: accolto.
16.41
tanto che vuol ch'i' veggia la sua corte
16.42
per modo tutto fuor del moderno uso,
moderno uso: l'uso consueto, ovvero recente, considerato che soltanto Enea e Paolo, nell'antichità, visitarono ancor vivi il regno dei morti (cfr. Inf. C. II, 13 e segg.).
16.43
non mi celar chi fosti anzi la morte,
16.44
ma dilmi, e dimmi s'i' vo bene al varco;
al varco: al passaggio dal terzo al quarto girone.
16.45
e tue parole fier le nostre scorte».
16.46
«Lombardo fui, e fu' chiamato Marco;
Lombardo: è Marco Lombardo, integerrimo e valente cortigiano del sec. XIII. Visse nell'Italia settentrionale e le scarse notizie (alcune fonti lo danno per veneto o addirittura trevigiano), che abbiamo di lui, ce lo presentano come saggio e arguto.
16.47
del mondo seppi, e quel valore amai
16.48
al quale ha or ciascun disteso l'arco.
disteso: allentato (contrario di teso). Cioè al quale nessuno ormai mira.
16.49
Per montar sù dirittamente vai».
16.50
Così rispuose, e soggiunse: «I' ti prego
16.51
che per me prieghi quando sù sarai».
sù: nel cielo.
16.52
E io a lui: «Per fede mi ti lego
16.53
di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio
16.54
dentro ad un dubbio, s'io non me ne spiego.
16.55
Prima era scempio, e ora è fatto doppio
Prima era scempio: prima era semplice ed ora è duplice per la tua affermazione (" sentenza ") che mi ribadisce ( " mi fa certo " ) il fenomeno della corruzione ("quello") al quale annetto(" accoppio ") il mio dubbio, in seguito alle tue parole (" qui ") e a quelle di Guido del Duca (" altrove ").
16.56
ne la sentenza tua, che mi fa certo
16.57
qui, e altrove, quello ov'io l'accoppio.
16.58
Lo mondo è ben così tutto diserto
16.59
d'ogne virtute, come tu mi sone,
mi sone: mi suoni, cioè mi affermi.
16.60
e di malizia gravido e coverto;
16.61
ma priego che m'addite la cagione,
16.62
sì ch'i' la veggia e ch'i' la mostri altrui;
16.63
ché nel cielo uno, e un qua giù la pone».
ché nel cielo uno: " Uno la fa dipendere dall'influsso delle stelle, un altro dalla volontà degli uomini " (Momigliano).
16.64
Alto sospir, che duolo strinse in «uhi!»,
Alto sospir: prima emise un profondo sospiro che il dolore tramutò in un lamento (" uhi ").
16.65
mise fuor prima; e poi cominciò: «Frate,
16.66
lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui.
16.67
Voi che vivete ogne cagion recate
16.68
pur suso al cielo, pur come se tutto
16.69
movesse seco di necessitate.
movesse: necessariamente determinasse col suo movimento. Soggetto è il cielo (v. 68).
16.70
Se così fosse, in voi fora distrutto
fora: sarebbe.
16.71
libero arbitrio, e non fora giustizia
non fora giustizia: non sarebbe giusto avere un premio (" letizia ") per il bene e l'eterno dolore (" lutto ") per il male.
16.72
per ben letizia, e per male aver lutto.
16.73
Lo cielo i vostri movimenti inizia;
16.74
non dico tutti, ma, posto ch'i' 'l dica,
16.75
lume v'è dato a bene e a malizia,
lume: il lume della ragione per distinguere il bene dal male, e il libero volere per scegliere l'uno o l'altro; e se la volontà dura fatica a vincere le prime battaglie con gli influssi celesti che muovono gli appetiti, poi riporta completa vittoria se è ben educata e diretta. Voi soggiacete, pur essendo liberi, ad una forza più grande e ad una natura migliore degli influssi celesti, cioè a Dio; e Dio crea in voi l'anima razionale (" la mente ") che non è sottoposta agli influssi celesti.
16.76
e libero voler; che, se fatica
16.77
ne le prime battaglie col ciel dura,
16.78
poi vince tutto, se ben si notrica.
16.79
A maggior forza e a miglior natura
16.80
liberi soggiacete; e quella cria
16.81
la mente in voi, che 'l ciel non ha in sua cura.
16.82
Però, se 'l mondo presente disvia,
16.83
in voi è la cagione, in voi si cheggia;
si cheggia: si ricerchi.
16.84
e io te ne sarò or vera spia.
vera spia: sincero dimostratore.
16.85
Esce di mano a lui che la vagheggia
16.86
prima che sia, a guisa di fanciulla
16.87
che piangendo e ridendo pargoleggia,
16.88
l'anima semplicetta che sa nulla,
16.89
salvo che, mossa da lieto fattore,
lieto fattore: Dio creatore è perfetta letizia.
16.90
volontier torna a ciò che la trastulla.
torna: si volge a ciò che la diletta (" trastulla " ).
16.91
Di picciol bene in pria sente sapore;
picciol bene: bene effimero e limitato. com'è proprio dei beni terreni.
16.92
quivi s'inganna, e dietro ad esso corre,
16.93
se guida o fren non torce suo amore.
16.94
Onde convenne legge per fren porre;
16.95
convenne rege aver che discernesse
rege: l'autorità temporale che distinguesse, della città di Dio (" vera cittade "), almeno la torre, cioè la giustizia.
16.96
de la vera cittade almen la torre.
16.97
Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?
16.98
Nullo, però che 'l pastor che procede,
pastor: la guida spirituale, che precede, predica bene ed opera male. Si ricordi che l'impero è vacante e che il pontefice, secondo Dante, confonde il potere temporale con quello spirituale Tutta l'espressione ha una risonanza biblica, ricordando l'obbligo fatto agli Ebrei di mangiare soltanto animali ruminanti e dall'unghia fessa. Il pontefice, dunque, sa ruminare (" rugumar ") cioè meditare la Scrittura, ma non ha l'unghia fessa, cioè non riesce ad osservare la netta separazione che deve esistere tra il potere spirituale, proprio di lui pastore, e quello temporale, che spetta all'imperatore.
16.99
rugumar può, ma non ha l'unghie fesse;
16.100
per che la gente, che sua guida vede
16.101
pur a quel ben fedire ond'ella è ghiotta,
pur a quel ben: mirare soltanto ai beni temporali, di cui essa è ingorda (" ghiotta ").
16.102
di quel si pasce, e più oltre non chiede.
16.103
Ben puoi veder che la mala condotta
16.104
è la cagion che 'l mondo ha fatto reo,
16.105
e non natura che 'n voi sia corrotta.
16.106
Soleva Roma, che 'l buon mondo feo,
16.107
due soli aver, che l'una e l'altra strada
due soli: il pontefice e l'imperatore.
16.108
facean vedere, e del mondo e di Deo.
16.109
L'un l'altro ha spento; ed è giunta la spada
giunta: congiunta; impugnata dalla medesima mano.
16.110
col pasturale, e l'un con l'altro insieme
16.111
per viva forza mal convien che vada;
16.112
però che, giunti, l'un l'altro non teme:
16.113
se non mi credi, pon mente a la spiga,
a la spiga : al frutto derivato da questa situazione; poiché ogni erba si conosce in base al seme, contenuto nel frutto che produce.
16.114
ch'ogn'erba si conosce per lo seme.
16.115
In sul paese ch'Adice e Po riga,
In sul paese: la Lombardia, che nel Medioevo comprendeva quasi tutta l'Italia settentrionale, con la Marca Trevigiana e l'Emilia.
16.116
solea valore e cortesia trovarsi,
16.117
prima che Federigo avesse briga;
prima che Federigo: prima che Federico II venisse a contesa con i papi e i Guelfi.
16.118
or può sicuramente indi passarsi
or può: " Ora chiunque si vergognasse di ragionar coi buoni o di avvicinarli, può passare per quelle contrade, sicuro di non trovarne nessuno " (Momigliano).
16.119
per qualunque lasciasse, per vergogna
16.120
di ragionar coi buoni o d'appressarsi.
16.121
Ben v'èn tre vecchi ancora in cui rampogna
v'èn: ci sono tre vecchi la cui figura è un vivo rimprovero dell'antica età verso la nuova.
16.122
l'antica età la nova, e par lor tardo
16.123
che Dio a miglior vita li ripogna:
16.124
Currado da Palazzo e 'l buon Gherardo
Currado da Palazzo: è Corrado III dei conti di Palazzo da Brescia, capitano di parte guelfa e reggitore di alcune podesterie. Visse nella seconda metà del sec. XIII. Gherardo è della famiglia dei da Camino di Treviso, che successe nella signoria della città agli Ezzelini. Mori nel 1306.
16.125
e Guido da Castel, che mei si noma
Guido da Castel: appartenne alla famiglia dei Roberti di Reggio Emilia, e dalla sua città fu cacciato perché ghibellino. Egli meglio (" mei ") è chiamato, alla francese, il modesto Lombardo (" semplice " = simple, che in francese vale appunto modesto).
16.126
francescamente, il semplice Lombardo.
16.127
Dì oggimai che la Chiesa di Roma,
16.128
per confondere in sé due reggimenti,
16.129
cade nel fango e sé brutta e la soma».
la soma: è il potere temporale di cui si è gravata in seguito ad usurpazione.
16.130
«O Marco mio», diss'io, «bene argomenti;
16.131
e or discerno perché dal retaggio
16.132
li figli di Levì furono essenti.
li figli di Leví: la tribù dei Levi, cui era attribuito il sacerdozio, fu esclusa dal possesso dei beni temporali (" retaggio "), quando Dio distribuì la terra di Canaan.
16.133
Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio
16.134
di' ch'è rimaso de la gente spenta,
16.135
in rimprovèro del secol selvaggio?».
16.136
«O tuo parlar m'inganna, o el mi tenta»,
o el mi tenta: o mi esorta a dire più cose sul conto di Gherardo.
16.137
rispuose a me; «ché, parlandomi tosco,
16.138
par che del buon Gherardo nulla senta.
nulla senta: nulla tu sappia; mentre a Dante, toscano, non doveva essere sconosciuto, perché Gherardo era stato in rapporto con i Donati e specialmente con Corso.
16.139
Per altro sopranome io nol conosco,
16.140
s'io nol togliessi da sua figlia Gaia.
s'io nol togliessi: se non ne prendessi in prestito uno dal nome di sua figlia Gaia, e lo definissi, cioè, lieto. La " gaiezza non si disgiungeva da valore, da amore e cortesia" (Torraca).
16.141
Dio sia con voi, ché più non vegno vosco.
16.142
Vedi l'albor che per lo fummo raia
raia: raggia, irradia.
16.143
già biancheggiare, e me convien partirmi
16.144
(l'angelo è ivi) prima ch'io li paia».
16.145
Così tornò, e più non volle udirmi.
Purgatorio : Canto 17
17.1
Ricorditi, lettor, se mai ne l'alpe
ne l'alpe: in alta montagna.
17.2
ti colse nebbia per la qual vedessi
17.3
non altrimenti che per pelle talpe,
per pelle talpe: le talpe attraverso la membrana che vela i loro occhi.
17.4
come, quando i vapori umidi e spessi
17.5
a diradar cominciansi, la spera
17.6
del sol debilemente entra per essi;
17.7
e fia la tua imagine leggera
e fia: e la tua immaginazione sarà facilmente disposta (" leggera ") a comprendere come….
17.8
in giugnere a veder com'io rividi
17.9
lo sole in pria, che già nel corcar era.
che già: che già era al tramonto.
17.10
Sì, pareggiando i miei co' passi fidi
17.11
del mio maestro, usci' fuor di tal nube
17.12
ai raggi morti già ne' bassi lidi.
17.13
O imaginativa che ne rube
O imaginativa: o fantasia, che talvolta così ci astrai da noi stessi, che anche se intorno ci suonano mille trombe non ce ne accorgiamo, chi ti accende se lo stimolo non ti viene dai sensi? Ti accende (" Moveti ") una luce celeste o per virtù propria o per volere divino, che la scorta (" scorge "), cioè l'accompagna.
17.14
talvolta sì di fuor, ch'om non s'accorge
17.15
perché dintorno suonin mille tube,
17.16
chi move te, se 'l senso non ti porge?
17.17
Moveti lume che nel ciel s'informa,
17.18
per sé o per voler che giù lo scorge.
17.19
De l'empiezza di lei che mutò forma
De l'empiezza: nella mia fantasia ( " imagine " ) apparve la figurazione ( " orma ") di Progne (cfr. c. IX, n. 15).
17.20
ne l'uccel ch'a cantar più si diletta,
17.21
ne l'imagine mia apparve l'orma;
17.22
e qui fu la mia mente sì ristretta
ristretta: concentrata in sè, ché dall'esterno non poteva venire cosa che fosse da essa accolta (" ricetta ").
17.23
dentro da sé, che di fuor non venìa
17.24
cosa che fosse allor da lei ricetta.
17.25
Poi piovve dentro a l'alta fantasia
17.26
un crucifisso dispettoso e fero
un: è Aman, ministro del re di Persia, Assuero, il quale, adirato contro Mardocheo, tramò la morte sua e di tutti i Giudei. Ma la regina Ester, nipote di Mardocheo, denunciò al marito Assuero i piani dello scellerato ministro e Aman fu crocifisso sullo stesso strumento di tortura da lui preparato per Mardocheo.
17.27
ne la sua vista, e cotal si morìa;
17.28
intorno ad esso era il grande Assuero,
17.29
Estèr sua sposa e 'l giusto Mardoceo,
17.30
che fu al dire e al far così intero.
intero: integro.
17.31
E come questa imagine rompeo
17.32
sé per sé stessa, a guisa d'una bulla
bulla: bolla cui manchi la pellicola d'acqua sotto la quale si è formata.
17.33
cui manca l'acqua sotto qual si feo,
17.34
surse in mia visione una fanciulla
una fanciulla: è Lavinia, figlia del re Latino e della regina Amata. La madre, per ira contro Enea, che non voleva accettare per genero, si uccise.
17.35
piangendo forte, e dicea: «O regina,
17.36
perché per ira hai voluto esser nulla?
17.37
Ancisa t'hai per non perder Lavina;
17.38
or m'hai perduta! Io son essa che lutto,
lutto: piango (dal lat. luctus) per la tua morte, prima che per la morte di Turno ("altrui"). Turno, re dei Rutuli, era promesso sposo di Lavinia.
17.39
madre, a la tua pria ch'a l'altrui ruina».
17.40
Come si frange il sonno ove di butto
di butto: di botto, improvvisamente. .
17.41
nova luce percuote il viso chiuso,
17.42
che fratto guizza pria che muoia tutto;
che fratto guizza: che, pur interrotto, ancor serpeggia nelle membra, prima di scomparire interamente.
17.43
così l'imaginar mio cadde giuso
17.44
tosto che lume il volto mi percosse,
17.45
maggior assai che quel ch'è in nostro uso.
17.46
I' mi volgea per veder ov'io fosse,
17.47
quando una voce disse «Qui si monta»,
17.48
che da ogne altro intento mi rimosse;
17.49
e fece la mia voglia tanto pronta
17.50
di riguardar chi era che parlava,
17.51
che mai non posa, se non si raffronta.
se non si raffronta: se non trovandosi di fronte al suo oggetto, cioè all'Angelo che ha rivolto l'invito.
17.52
Ma come al sol che nostra vista grava
grava: opprime, e per troppo fulgore ( " soverchio " ) nasconde la sua forma.
17.53
e per soverchio sua figura vela,
17.54
così la mia virtù quivi mancava.
mancava: era inadeguata.
17.55
«Questo è divino spirito, che ne la
17.56
via da ir sù ne drizza sanza prego,
17.57
e col suo lume sé medesmo cela.
17.58
Sì fa con noi, come l'uom si fa sego;
sego: seco, con sè stesso. Ché colui il quale vede ciò che bisogna fare (" l'uopo ") e aspetta d'essere pregato, già si mette malignamente in atteggiamenti di rifiuto ( " al nego " ).
17.59
ché quale aspetta prego e l'uopo vede,
17.60
malignamente già si mette al nego.
17.61
Or accordiamo a tanto invito il piede;
17.62
procacciam di salir pria che s'abbui,
17.63
ché poi non si poria, se 'l dì non riede».
se 'l dì non riede: se il giorno non ritorna. E' impossibile procedere nel Purgatorio durante la notte (cfr. c. VII, 44).
17.64
Così disse il mio duca, e io con lui
17.65
volgemmo i nostri passi ad una scala;
17.66
e tosto ch'io al primo grado fui,
17.67
senti'mi presso quasi un muover d'ala
17.68
e ventarmi nel viso e dir: "Beati
e ventarmi nel viso: l'angelo cancella un'altra P. Le parole muovono da Matteo V,9: "Beati pacifici, quoniam filii Dei vocabuntur".
17.69
pacifici, che son sanz'ira mala!".
17.70
Già eran sovra noi tanto levati
17.71
li ultimi raggi che la notte segue,
che lo notte segue: ai quali vien dietro la notte.
17.72
che le stelle apparivan da più lati.
17.73
"O virtù mia, perché sì ti dilegue?",
virtù: la forza di procedere.
17.74
fra me stesso dicea, ché mi sentiva
17.75
la possa de le gambe posta in triegue.
17.76
Noi eravam dove più non saliva
17.77
la scala sù, ed eravamo affissi,
affissi: come approdati.
17.78
pur come nave ch'a la piaggia arriva.
17.79
E io attesi un poco, s'io udissi
17.80
alcuna cosa nel novo girone;
17.81
poi mi volsi al maestro mio, e dissi:
17.82
«Dolce mio padre, dì, quale offensione
offensione: peccato, che è offesa a Dio.
17.83
si purga qui nel giro dove semo?
17.84
Se i piè si stanno, non stea tuo sermone».
17.85
Ed elli a me: «L'amor del bene, scemo
17.86
del suo dover, quiritta si ristora;
quiritta: proprio qui (cfr. c. IV 125) si espia (" si ristora ") l'amore del vero bene, cui è mancata la sollecitudine dovuta (" scemo del suo dover"). E' il peccato d'accidia.
17.87
qui si ribatte il mal tardato remo.
17.88
Ma perché più aperto intendi ancora,
17.89
volgi la mente a me, e prenderai
17.90
alcun buon frutto di nostra dimora».
di nostra dimora: della sosta notturna.
17.91
«Né creator né creatura mai»,
17.92
cominciò el, «figliuol, fu sanza amore,
17.93
o naturale o d'animo; e tu 'l sai.
o naturale o d'animo: il primo è l'amore innato, istintivo, cioè determinato dalla natura; e poiché " ciò che viene dalla natura, viene da Dio " (cfr. Mon. III, XIV, 2) non può mai errare. L'altro è l'amore razionale, soggetto ad errare in tre modi : " per malo obietto ", cioè per essere rivolto ad oggetto riprovevole (superbia, invidia, ira) o "per troppo… di vigore " cioè per eccessivo interesse ai beni del mondo (avarizia, gola, lussuria) o " per poco di vigore " cioè per quella freddezza verso il sommo bene che costituisce il peccato d'accidia. Quando l'amore razionale è ben diretto verso il " primo " bene, Dio, e verso i " secondi ", i beni mondani, è moderato (" sé stesso misura "), non può esser causa di peccato (" mal diletto "); ma quando volge al male o pecca per eccesso e per difetto, la creatura (" sua fattura ") si volge contro il creatore (" 'l fattore ").
17.94
Lo naturale è sempre sanza errore,
17.95
ma l'altro puote errar per malo obietto
17.96
o per troppo o per poco di vigore.
17.97
Mentre ch'elli è nel primo ben diretto,
17.98
e ne' secondi sé stesso misura,
17.99
esser non può cagion di mal diletto;
17.100
ma quando al mal si torce, o con più cura
17.101
o con men che non dee corre nel bene,
17.102
contra 'l fattore adovra sua fattura.
17.103
Quinci comprender puoi ch'esser convene
17.104
amor sementa in voi d'ogne virtute
17.105
e d'ogne operazion che merta pene.
17.106
Or, perché mai non può da la salute
Or, perché mai: ora, poiché l'amore non può mai rimuover lo sguardo dal bene (" salute ") del soggetto (" subietto ") cioè della creatura che prova il sentimento, le cose sono sicure (" tute ", cfr. lat. tutus), cioè al riparo, dall'odio verso sè stesse: e poiché non si può concepire (" intender ") alcun essere separato e per sè stante dall'Essere primo, Dio, ne consegue che ogni creatura (" effetto ", cfr. c. XI, 3) è tagliata fuori ( decìso cfr. lat. decìdo) dalla possibilità di odiare Dio (" quello ").
17.107
amor del suo subietto volger viso,
17.108
da l'odio proprio son le cose tute;
17.109
e perché intender non si può diviso,
17.110
e per sé stante, alcuno esser dal primo,
17.111
da quello odiare ogne effetto è deciso.
17.112
Resta, se dividendo bene stimo,
Resta: dato che nessuna creatura può odiare sè stessa o Dio, rimane, se la mia classificazione è giusta, che il male che si desidera (" che s'ama ") è rivolto soltanto al prossimo; e tale amore del male del prossimo nasce in tre modi nella vostra natura, nel fango (" limo ") di cui siete impastati.
17.113
che 'l mal che s'ama è del prossimo; ed esso
17.114
amor nasce in tre modi in vostro limo.
17.115
E' chi, per esser suo vicin soppresso,
E' chi: c'è chi spera di eccellere per il fatto che il suo vicino sia da lui umiliato (" soppresso ") e solo per questo desidera che quello decada dalla sua grandezza. E' il peccato di superbia. C'è chi teme di perdere autorità, favore, onore e gloria a causa di altri che salga più in alto di lui, per cui si rode (" s'attrista ") tanto, che augura il contrario, cioè l'insuccesso, al suo rivale. E' il peccato d'invidia. E c'è chi, per un'offesa ricevuta (" ingiuria "), sembra che s'offenda (" ch'aonti ") sì che non aspiri ad altro che alla vendetta; e, ridottosi cosi ( " tal " ), gli è necessario approntare il male al prossimo. E' il peccato d'iracondia.
17.116
spera eccellenza, e sol per questo brama
17.117
ch'el sia di sua grandezza in basso messo;
17.118
è chi podere, grazia, onore e fama
17.119
teme di perder perch'altri sormonti,
17.120
onde s'attrista sì che 'l contrario ama;
17.121
ed è chi per ingiuria par ch'aonti,
17.122
sì che si fa de la vendetta ghiotto,
17.123
e tal convien che 'l male altrui impronti.
17.124
Questo triforme amor qua giù di sotto
di sotto: nei primi tre gironi del Purgatorio.
17.125
si piange; or vo' che tu de l'altro intende,
17.126
che corre al ben con ordine corrotto.
con ordine corrotto: in disordine, cioè peccando per eccesso o per difetto.
17.127
Ciascun confusamente un bene apprende
apprende: conosce; già Marco Lombardo ha detto che l'anima ha una rudimentale conoscenza del bene, in quanto " mossa da lieto fattore " (cfr. c. XVI, 89); a quel bene aspira. (" disira ") e ciascuno si sforza (" contende ") di raggiungerlo. Ma, se l'amore è fiacco, questa cornice ve ne castiga, dopo un giusto pentimento. E' il peccato d'accidia punito appunto nel quarto girone.
17.128
nel qual si queti l'animo, e disira;
17.129
per che di giugner lui ciascun contende.
17.130
Se lento amore a lui veder vi tira
17.131
o a lui acquistar, questa cornice,
17.132
dopo giusto penter, ve ne martira.
17.133
Altro ben è che non fa l'uom felice;
Altro ben: il bene mondano.
17.134
non è felicità, non è la buona
17.135
essenza, d'ogne ben frutto e radice.
17.136
L'amor ch'ad esso troppo s'abbandona,
L'amor: l'amore, che eccessivamente indulge ai beni mondani, è punito nei tre cerchi a noi sovrastanti; sono i peccati di avarizia, gola, lussuria. Cosi è chiarita la classificazione dei peccati nel Purgatorio, semplicemente riferita ai sette peccati capitali; analoga, ma più complessa classificazione dei peccati nell'Infermo, è stata esposta, sempre da Virgilio, in Inf.XI.
17.137
di sovr'a noi si piange per tre cerchi;
17.138
ma come tripartito si ragiona,
17.139
tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi».
Purgatorio : Canto 18
18.1
Posto avea fine al suo ragionamento
18.2
l'alto dottore, e attento guardava
18.3
ne la mia vista s'io parea contento;
vista: aspetto.
18.4
e io, cui nova sete ancor frugava,
18.5
di fuor tacea, e dentro dicea: "Forse
18.6
lo troppo dimandar ch'io fo li grava".
li grava: lo annoia.
18.7
Ma quel padre verace, che s'accorse
18.8
del timido voler che non s'apriva,
che non s'apriva: che non osava palesarsi.
18.9
parlando, di parlare ardir mi porse.
18.10
Ond'io: «Maestro, il mio veder s'avviva
18.11
sì nel tuo lume, ch'io discerno chiaro
18.12
quanto la tua ragion parta o descriva.
parta o descriva: affermi o esamini minutamente.
18.13
Però ti prego, dolce padre caro,
18.14
che mi dimostri amore, a cui reduci
che mi dimostri: che mi spieghi cosa sia quest'amore, a cui tu riduci ogni virtù ("ogne buono operare") e i1 suo contrario, cioè ogni vizio.
18.15
ogne buono operare e 'l suo contraro».
18.16
«Drizza», disse, «ver' me l'agute luci
18.17
de lo 'ntelletto, e fieti manifesto
18.18
l'error de' ciechi che si fanno duci.
che si fanno duci: che pretendono far da guida.
18.19
L'animo, ch'è creato ad amar presto,
presto: disposto, pronto potenzialmente.
18.20
ad ogne cosa è mobile che piace,
18.21
tosto che dal piacere in atto è desto.
tosto che: non appena, dal piacere, è sollecitato (" desto ") a tradurre in atto la sua disposizione potenziale.
18.22
Vostra apprensiva da esser verace
Vostra apprensiva: la vostra facoltà conoscitiva deriva l'immagine (" tragge intenzione ") dalla realtà (" da esser verace " ) e la chiarisce ( " spiega " ) in voi, si che fa volgere ad essa il vostro animo e se, una volta che ad essa sia intento, l'animo si sente attratto ( " si piega " ), questo è amore ed è amor naturale, cioè innato o istintivo (" natura ") che, mediante il piacere, per la prima volta (" di novo ") si concretizza in voi (" si lega ").
18.23
tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,
18.24
sì che l'animo ad essa volger face;
18.25
e se, rivolto, inver' di lei si piega,
18.26
quel piegare è amor, quell'è natura
18.27
che per piacer di novo in voi si lega.
18.28
Poi, come 'l foco movesi in altura
Poi: poi, come il fuoco va verso l'alto per il suo principio formale ("forrma") che è fatto per salire verso la sua sfera, cioè quella del fuoco (cfr. Par. c. I, 115), dove dura di più trovandosi nel suo proprio elemento (" in sua matera "), cosi l'animo, preso dall'attrazione per la cosa di cui la facoltà conoscitiva gli ha fornito conoscenza (" preso "), entra in desiderio, che è moto dello spirito, e non ha tregua (" mai non posa ") finché non riesca a godere della cosa amata. E' questo l'amore d'animo.
18.29
per la sua forma ch'è nata a salire
18.30
là dove più in sua matera dura,
18.31
così l'animo preso entra in disire,
18.32
ch'è moto spiritale, e mai non posa
18.33
fin che la cosa amata il fa gioire.
18.34
Or ti puote apparer quant'è nascosa
18.35
la veritate a la gente ch'avvera
ch'avvera: che tiene per vero che l'amore sia sempre, in sè, una cosa lodevole, forse perché sempre buona sembra essere la sua materia, cioè la naturale disposizione ad amare; ma, sebbene la cera sia buona, non tutte le forme ( " segno ") impresse alla cera sono buone.
18.36
ciascun amore in sé laudabil cosa;
18.37
però che forse appar la sua matera
18.38
sempre esser buona, ma non ciascun segno
18.39
è buono, ancor che buona sia la cera».
18.40
«Le tue parole e 'l mio seguace ingegno»,
seguace: che seguiva il tuo ragionamento.
18.41
rispuos'io lui, «m'hanno amor discoverto,
18.42
ma ciò m'ha fatto di dubbiar più pregno;
18.43
ché, s'amore è di fuori a noi offerto,
ché, s'amore: ché se amore deriva da qualcosa che è fuori di noi, e se l'anima non procede che per suo naturale impulso, non è merito suo (" suo merto ") se va dritto, né è sua colpa se prende un cammino torto. E' un caratteristico esempio di sillogismo.
18.44
e l'anima non va con altro piede,
18.45
se dritta o torta va, non è suo merto».
18.46
Ed elli a me: «Quanto ragion qui vede,
18.47
dir ti poss'io; da indi in là t'aspetta
t'aspetta: affidati.
18.48
pur a Beatrice, ch'è opra di fede.
18.49
Ogne forma sustanzial, che setta
Ogne forma sustanzial: ogni anima, che è separata, distinta (" setta " cfr. lat. secta) dalla materia, ma con essa legata nel corpo che forma un tutto unico, ha in sè raccolta (" colletta " cfr. lat. collecta) una particolare attitudine, che non è percepita se non quando opera, e che non si rivela altro che nei suoi effetti, come la vita in una pianta si rivela nel germogliare di verdi foglie.
18.50
è da matera ed è con lei unita,
18.51
specifica vertute ha in sé colletta,
18.52
la qual sanza operar non è sentita,
18.53
né si dimostra mai che per effetto,
18.54
come per verdi fronde in pianta vita.
18.55
Però, là onde vegna lo 'ntelletto
Però: perciò (poiché la particolare attitudine si rivela soltanto attraverso gli effetti), non si sa donde provenga la conoscenza delle cognizioni fondamentali (gli assiomi) e l'amore dei beni cui naturalmente l'uomo si rivolge (il vero, il bello, Dio), e che sono negli uomini, come nell'ape la predisposizione e la tendenza (" studio " cfr. lat. studium) a produrre il miele. E questa prima tendenza a quei beni, essendo innata, non merita né lode né biasimo.
18.56
de le prime notizie, omo non sape,
18.57
e de' primi appetibili l'affetto,
18.58
che sono in voi sì come studio in ape
18.59
di far lo mele; e questa prima voglia
18.60
merto di lode o di biasmo non cape.
18.61
Or perché a questa ogn'altra si raccoglia,
Or: ora, perché a questa innata tendenza si uniformi ogni altra voglia (" si raccoglia "), vi è innata la facoltà razionale, capace di consigliare e di controllare i desideri, prima che ad essi si dia libero sfogo ( " l'assenso " ); tale è il libero arbitrio.
18.62
innata v'è la virtù che consiglia,
18.63
e de l'assenso de' tener la soglia.
18.64
Quest'è 'l principio là onde si piglia
Quest'è 'l principio: da questa prima voglia deriva " la ragione per cui voi meritate (lode o biasimo) a seconda che essa virtù accolga e scelga come oggetti dell'amore il bene o il male" (Momigliano).
18.65
ragion di meritare in voi, secondo
18.66
che buoni e rei amori accoglie e viglia.
18.67
Color che ragionando andaro al fondo,
18.68
s'accorser d'esta innata libertate;
18.69
però moralità lasciaro al mondo.
moralità: le leggi morali.
18.70
Onde, poniam che di necessitate
18.71
surga ogne amor che dentro a voi s'accende,
18.72
di ritenerlo è in voi la podestate.
di ritenerlo: di frenarlo, se scelga il male come oggetto.
18.73
La nobile virtù Beatrice intende
La nobile virtù: la facoltà di frenare o di assecondare gli impulsi naturali. Beatrice parlerà del libero arbitrio nel c. V del Paradiso.
18.74
per lo libero arbitrio, e però guarda
18.75
che l'abbi a mente, s'a parlar ten prende».
18.76
La luna, quasi a mezza notte tarda,
La luna: la luna, che aveva tardato a levarsi fin quasi a mezzanotte.
18.77
facea le stelle a noi parer più rade,
18.78
fatta com'un secchion che tuttor arda;
un secchion: è l'aspetto convesso della luna calante.
18.79
e correa contro 'l ciel per quelle strade
per quelle strade: lungo quel cammino che il sole accende, intorno al solstizio d'inverno, quando i Romani lo vedono tramontare tra Sardegna e Corsica.
18.80
che 'l sole infiamma allor che quel da Roma
18.81
tra Sardi e ' Corsi il vede quando cade.
18.82
E quell'ombra gentil per cui si noma
18.83
Pietola più che villa mantoana,
Pietola: è l'antica Andes, patria di Virgilio, per i cui meriti essa è famosa ( " si noma " ) più che ogni altra città del Mantovano.
18.84
del mio carcar diposta avea la soma;
del mio carcar: del dubbio che mi gravava la mente.
18.85
per ch'io, che la ragione aperta e piana
18.86
sovra le mie quistioni avea ricolta,
18.87
stava com'om che sonnolento vana.
vana: vaneggia per stanchezza.
18.88
Ma questa sonnolenza mi fu tolta
18.89
subitamente da gente che dopo
18.90
le nostre spalle a noi era già volta.
18.91
E quale Ismeno già vide e Asopo
Ismeno: è, con l'Asopo, un fiume della Beozia, lungo le cui rive i Tebani correvano in folla furente, invocando Bacco, loro protettore.
18.92
lungo di sè di notte furia e calca,
18.93
pur che i Teban di Bacco avesser uopo,
18.94
cotal per quel giron suo passo falca,
falca: si rammenti il "Salcare" del passo dei cavalli. L'immagine è tolta dall'inascare che fanno la schiena e le gambe a modo di falce.
18.95
per quel ch'io vidi di color, venendo,
18.96
cui buon volere e giusto amor cavalca.
cui: che il buon volere e il giusto amore sprona ( " cavalca " ).
18.97
Tosto fur sovr'a noi, perché correndo
18.98
si movea tutta quella turba magna;
18.99
e due dinanzi gridavan piangendo:
18.100
«Maria corse con fretta a la montagna;
Maria : è il primo esempio di sollecitudine: Maria, appena saputo che Elisabetta era incinta, corse da lei per prestarle aiuto. il secondo, ricorda l'operazione militare di Cesare, il quale, per conquistare Ilerda, cioè Lerida, nella Spagna, prima colpi Marsiglia, poi, lasciato Bruto a comandante del presidio, accorse in Spagna contro Afranio e Petreio, luogotenenti di Pompeo.
18.101
e Cesare, per soggiogare Ilerda,
18.102
punse Marsilia e poi corse in Ispagna».
18.103
«Ratto, ratto, che 'l tempo non si perda
18.104
per poco amor», gridavan li altri appresso,
18.105
«che studio di ben far grazia rinverda».
rinverda: rinverdisce, ravviva.
18.106
«O gente in cui fervore aguto adesso
18.107
ricompie forse negligenza e indugio
ricompie: ricompensa.
18.108
da voi per tepidezza in ben far messo,
18.109
questi che vive, e certo i' non vi bugio,
non vi bugio: non vi mentisco.
18.110
vuole andar sù, pur che 'l sol ne riluca;
pur che: non appena.
18.111
però ne dite ond'è presso il pertugio».
18.112
Parole furon queste del mio duca;
18.113
e un di quelli spirti disse: «Vieni
18.114
di retro a noi, e troverai la buca.
18.115
Noi siam di voglia a muoverci sì pieni,
18.116
che restar non potem; però perdona,
18.117
se villania nostra giustizia tieni.
nostra giustizia: quel che giustamente siamo costretti a fare.
18.118
Io fui abate in San Zeno a Verona
Io fui abate: non si sa con precisione chi sia l'abate di San Zeno, in Verona. I commentatori, tuttavia, si orientano su un Gherardo, morto nel 1187.
18.119
sotto lo 'mperio del buon Barbarossa,
Barbarossa: è il famoso Federico I, che distrusse Milano nel 1162.
18.120
di cui dolente ancor Milan ragiona.
18.121
E tale ha già l'un piè dentro la fossa,
E tale: è Alberto della Scala, che mori il 10 settembre 1301.
18.122
che tosto piangerà quel monastero,
18.123
e tristo fia d'avere avuta possa;
18.124
perché suo figlio, mal del corpo intero,
suo figlio: il figlio illegittimo Giuseppe (" che mal nacque "), difettoso di corpo e di mente (" mal… intero "), fu creato, da Alberto, abate di San Zeno.
18.125
e de la mente peggio, e che mal nacque,
18.126
ha posto in loco di suo pastor vero».
18.127
Io non so se più disse o s'ei si tacque,
18.128
tant'era già di là da noi trascorso;
18.129
ma questo intesi, e ritener mi piacque.
18.130
E quei che m'era ad ogne uopo soccorso
18.131
disse: «Volgiti qua: vedine due
18.132
venir dando a l'accidia di morso».
18.133
Di retro a tutti dicean: «Prima fue
Prima fue: è il primo esempio di accidia punita: gli Ebrei, davanti ai quali si era aperto il mar Rosso, essendo restii a seguire Mosè, furono distrutti ad opera di Dio nel deserto prima che il Giordano, fiume della Palestina, vedesse giunger loro che erano eredi di quella terra. Il secondo: i compagni di Enea (" figlio d'Anchise ") che non sopportarono di condurre fino in fondo l'impresa, ma si fermarono in Sicilia con Aceste, si condannarono a una vita senza gloria.
18.134
morta la gente a cui il mar s'aperse,
18.135
che vedesse Iordan le rede sue.
18.136
E quella che l'affanno non sofferse
18.137
fino a la fine col figlio d'Anchise,
18.138
sé stessa a vita sanza gloria offerse».
18.139
Poi quando fuor da noi tanto divise
18.140
quell'ombre, che veder più non potiersi,
potiersi: si potevano.
18.141
novo pensiero dentro a me si mise,
18.142
del qual più altri nacquero e diversi;
18.143
e tanto d'uno in altro vaneggiai,
18.144
che li occhi per vaghezza ricopersi,
ricopersi: chiusi, per quel vagare della mente.
18.145
e 'l pensamento in sogno trasmutai.
Purgatorio : Canto 19
19.1
Ne l'ora che non può 'l calor diurno
Ne l'ora: nell'ora in cui il calore del sole non può temperare il freddo lunare, perché sopraffatto dalla naturale freddezza della terra o, se esso si trovi all'orizzonte, di Saturno pianeta che si credeva apportasse freddo; e quando i geomanti, (cioè gli indovini che ottenevano i loro presagi da figure tracciate in terra mediante la congiunzione di certi punti corrispondenti ad alcune costellazioni), vedono sorgere sul far dell'aurora il segno da essi detto di Maggior Fortuna (formato dalla congiunzione di sei stelle dell'Acquario e dei Pesci), in una zona del cielo che per poco ancora rimane oscura, in virtù di esso segno che precede l'aurora. In conclusione, Dante vuol dire che era l'alba, momento in cui si riteneva che i sogni avessero il crisma della veridicità.
19.2
intepidar più 'l freddo de la luna,
19.3
vinto da terra, e talor da Saturno
19.4
- quando i geomanti lor Maggior Fortuna
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veggiono in oriente, innanzi a l'alba,
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surger per via che poco le sta bruna -,
19.7
mi venne in sogno una femmina balba,
balba: balbuziente.
19.8
ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta,
19.9
con le man monche, e di colore scialba.
19.10
Io la mirava; e come 'l sol conforta
19.11
le fredde membra che la notte aggrava,
aggrava: intorpidisce.
19.12
così lo sguardo mio le facea scorta
le facea scorta: le rendeva spedita, cioè capace di parlare senza balbutire, la lingua. Sotto lo sguardo di Dante avviene dunque una trasformazione della donna deforme, che si drizza sulla persona e acquista il roseo pallore che ispira sentimenti d'amore. Notare l'"enjambement" col verso successivo.
19.13
la lingua, e poscia tutta la drizzava
19.14
in poco d'ora, e lo smarrito volto,
19.15
com'amor vuol, così le colorava.
19.16
Poi ch'ell'avea 'l parlar così disciolto,
19.17
cominciava a cantar sì, che con pena
19.18
da lei avrei mio intento rivolto.
mio intento: la mia attenzione.
19.19
«Io son», cantava, «io son dolce serena,
serena: sirena; già nell'antichità le sirene simboleggiavano l'allettamento dei falsi piaceri, e ben si adatta questo ricordo mitologico alla " femmina balba " che rappresenta l'amore errante per eccesso (cfr. c. XVII, 96).
19.20
che ' marinari in mezzo mar dismago;
dismago: incanto.
19.21
tanto son di piacere a sentir piena!
19.22
Io volsi Ulisse del suo cammin vago
Io volsi: io piegai Ulisse al mio canto, distogliendolo dal suo cammino errabondo (" vago "). L'episodio di Ulisse che, legato all'albero della nave, riesce ad ascoltare il canto delle Sirene e a salvarsi perché i compagni, con la cera alle orecchia non odono il suo ordine di fermarsi, si legge nel XII canto dell'Odissea. Probabilmente Dante lo conobbe da una narrazione leggendaria medioevale.
19.23
al canto mio; e qual meco s'ausa,
meco s'ausa: prende dimestichezza con me.
19.24
rado sen parte; sì tutto l'appago!».
19.25
Ancor non era sua bocca richiusa,
19.26
quand'una donna apparve santa e presta
presta: sollecita.
19.27
lunghesso me per far colei confusa.
19.28
«O Virgilio, Virgilio, chi è questa?»,
19.29
fieramente dicea; ed el venìa
19.30
con li occhi fitti pur in quella onesta.
19.31
L'altra prendea, e dinanzi l'apria
19.32
fendendo i drappi, e mostravami 'l ventre;
19.33
quel mi svegliò col puzzo che n'uscìa.
19.34
Io mossi li occhi, e 'l buon maestro: «Almen tre
Almen tre: da lèggere "almentre".
19.35
voci t'ho messe!», dicea. «Surgi e vieni;
19.36
troviam l'aperta per la qual tu entre».
l'aperta: l'apertura della scala che mena al quinto girone (cfr. c. IV, 19).
19.37
Sù mi levai, e tutti eran già pieni
19.38
de l'alto dì i giron del sacro monte,
19.39
e andavam col sol novo a le reni.
a le reni: alle spalle. I poeti procedono verso occidente.
19.40
Seguendo lui, portava la mia fronte
19.41
come colui che l'ha di pensier carca,
19.42
che fa di sé un mezzo arco di ponte;
mezzo arco di ponte: la persona di Dante è curva come la metà di un arco di ponte.
19.43
quand'io udi' «Venite; qui si varca»,
19.44
parlare in modo soave e benigno,
19.45
qual non si sente in questa mortal marca.
marca: era, propriamente, la terra di confine. Qui vale terra, in generale.
19.46
Con l'ali aperte, che parean di cigno,
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volseci in sù colui che sì parlonne
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tra due pareti del duro macigno.
19.49
Mosse le penne poi e ventilonne,
e ventilonne: è l'ormai consueta maniera di cancellare le P dalla fronte del poeta.
19.50
"Qui lugent" affermando esser beati,
Qui lugent: coloro che piangono. E' parafrasi della terza beatitudine del Discorso della montagna (Matteo V 5).
19.51
ch'avran di consolar l'anime donne.
donne: signore (cfr. lat. dominae); perciò: avranno le anime ricche di consolazione ( " consolar " ).
19.52
«Che hai che pur inver' la terra guati?»,
19.53
la guida mia incominciò a dirmi,
19.54
poco amendue da l'angel sormontati.
19.55
E io: «Con tanta sospeccion fa irmi
sospeccion: sospetto, dubbio; irmi: andare.
19.56
novella vision ch'a sé mi piega,
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sì ch'io non posso dal pensar partirmi».